Una Divina Commedia di primo Quattrocento
Il manoscritto Barb. lat. 4112 è un esemplare rilevante per il suo peculiare apparato illustrativo.
Non nel mezzo, ma al limite / del cammino. / La selva / (la paura) / ... dura... / ... oscura. / La via / (la vita) / smarrita.
(Giorgio Caproni, Controcanto, da Il Conte di Kevenhüller, 1986)
Il manoscritto, di formato medio-piccolo e dalla pergamena ben lavorata, è un esemplare di Divina Commedia realizzato all’inizio del sec. XV (d.to 1419; ff. 2r, 207v) in area toscana; dalla accurata mise-en-page su un’unica colonna di scrittura che lascia perciò liberi ampi margini, a conferire eleganza all’insieme, esso è vergato da Iacopo di Filippo Landi da Socognano in una equilibrata textualis. Questi affida esplicita traccia di sé sia all’ex libris in apertura di codice (f. 2r) – [I]ste liber Dantes est mei Iacopi Filippi […] Scriptus mea propia manu […] sub annis Domini Millesimo quatrigentesimo decimo nono […] – sia a sigillo del testo dantesco (f. 207v).
ff. 2r, 207v, ex libris e sottoscrizione di Iacopo di Filippo Landi da Socognano
Sufficientemente noto alla storiografia dantesca per gli aspetti codicologico-paleografici (cfr. da ultima Mazzanti, Barberiniano Latino 4112, pp. 491-492, con bibliografia), è stato invece pochissimo considerato dagli studi storico-artistici (Brieger - Meiss - Singleton, Illuminated Manuscripts I, p. 327; Talamo, Scheda nr. 6.9, p. 233), pur essendo sotto questo profilo un esemplare tutt’altro che trascurabile, sebbene il suo corredo illustrativo non sia particolarmente ampio.
Il commento figurato al poema è infatti tutto concentrato agli incipit di Inferno, Purgatorio e Paradiso (ff. 8r, 75r, 141r), con le pagine di apertura costruite sul dialogo tra il riquadro miniato e l’iniziale ornata. La narrazione per immagini diviene perciò imprescindibile elemento introduttivo agli argomenti delle tre cantiche, condensati con un efficace procedimento di aggregazione visiva e con alcune peculiarità iconografiche che vale la pena di sottolineare. L’ordinator dell’impianto figurativo, colui cioè che lo ha predisposto, ha infatti pensato il corredo illustrativo come vera e propria guida al lettore nella quale, allo snodo tra una cantica e l’altra, fosse enucleato in figura un compendio delle tematiche affrontate.
Un’organizzazione che trova la sua evidenza soprattutto a f. 8r, ad apertura dell’Inferno: la selva oscura, le tre fiere e l’apparire di Virgilio di Inf. I convivono con Minosse, giudice infernale, di Inf. V; la porta infernale di Inf. III, che reca – così come nel codice – la celeberrima sentenza «Lasciate ogni speranza, voi ch'intrate» (v. 9), ricorda nella fortificazione fiammeggiante anche la città di Dite, che trova posto nel VI cerchio e che è protagonista di Inf. VIII-XI, abitata da diavoli intenti al supplizio dei dannanti e presidiata alla sua sommità da una strana specie di furia – così nel dettato dantesco –, ma che nel Barb. lat. 4112 ricorda tuttavia nell’aspetto le arpie di Inf. XIII.
Una peculiarità abbastanza evidente è inoltre la nudità di Virgilio: nella tradizione illustrativa della Commedia, fin da tempi precoci – e anche successivi – egli appare vestito, spesso con un abito che lo rende riconoscibile in tutto il codice, come accade peraltro a Dante (tra gli altri esempi, per mss. dei secc. XIV e XV conservati in Biblioteca Vaticana: Ott. lat. 2358, Reg. lat. 1896. pt. A, Urb. lat. 365, Urb. lat. 378, Vat. lat. 4776; per alcuni degli esemplari del sec. XIV conservati altrove: Milano, Biblioteca Trivulziana, ms. 1080; London, British Library, Egerton 943; Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. IX, 276 [=6902]). È forse possibile che tale scelta visiva nel Barberiniano voglia sottolineare la differenza 'di status' tra i due poeti: il Fiorentino si muove nell'oltretomba con il suo corpo umano − ed è perciò coperto dagli abiti −, mentre il Latino è già da tempo uno spirito ospitato nel Limbo.
ff. 8r, 75r: Inferno e Purgatorio, nudità di Virgilio
L’esecuzione dell’apparato decorativo si deve probabilmente a due diversi maestri. Se una prima proposta fu quella di assegnare all’uno i riquadri miniati e all’altro le iniziali decorate (Brieger - Meiss - Singleton, Illuminated Manuscripts I, p. 327; in generale, seppure molto risalente, cfr. Volkmann, Iconografia Dantesca, p. 19), oggi tale impostazione è stata sfumata in favore di una compresenza dei due, probabilmente coadiuvati da una bottega abbastanza strutturata e aperta a diverse suggestioni stilistiche (Talamo, Scheda nr. 6.9, p. 233). Pur nell’insieme visivamente omogeneo, un maestro (ff. 8r, 75r) richiama da un lato i modi di Mariotto di Nardo di Cione (Talamo, Scheda nr. 6.9, p. 233; per il miniatore in generale, cfr. Chiodo, Mariotto di Nardo, pp. 91-104; Tommaso del Mazza, pp. 949-950) con forti imprestiti, formali e iconografici, dal linguaggio giottesco declinato con l’accento del primo Quattrocento (Talamo, Scheda nr. 6.9, p. 233) e dall’altro qualche nota, soprattutto nell’incipit al Purgatorio (f. 75r), riconducibile all’idioma bolognese di Nicolò di Giacomo. Le iniziali e l’illustrazione al Paradiso sono invece da assimilare al magistero di Lorenzo Monaco (Talamo, Scheda nr. 6.9, p. 233; per tale artista, cfr. Kanter, Lorenzo Monaco, pp. 399-401; Fachechi, Lorenzo Monaco; Lorenzo Monaco, passim, tutti con bibliografia).
In questa mostra, per altri esemplari manoscritti di Divina Commedia illustrata, cfr. Urb. lat. 365; per le incisioni, cfr. Stampe IV.3, Casimiri II.2.
[a cura di Eva Ponzi]