CXXXVr: Vat.lat.3313 — La scrittura è irregolare;
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- Vat.lat.3313
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La scrittura è irregolare; le parole non sono distinte. Il copista usa forme diverse per la stessa lettera, non è costante l’uso di legature. Incerto è l’uso delle abbreviature e della punteggiatura.
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- 1r-352v Priscianus Caesariensis: Institutiones grammaticae
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Il primo tratto della -u- è tracciato sulla I discendente sotto il rigo.
Segue un segno di interpunzione (punto sul rigo) depennato
Correzione da munitione con -e parzialmente eraso e is aggiunto di seguito.
n aggiunta dallo scriba nell’interlineo.
II corretto su tres(?) parzialmente eraso.
Così nel codice. Si noti il nesso ae.
Nell’interlineo una mano contemporanea a quella del testo, che scrive con inchiostro più scuro, ha aggiunto excerpto in re et die.
Un’altra mano più recente ha poi aggiunto nel margine destro no(min)ib(us).
Dopo la a iniziale seguiva una lettera poi del tutto erasa.
Sopra hoc approbat la medesima mano dei precedenti interventi ha aggiunto q(ui) deficit genitib(us).
Lo stesso lettore contemporaneo della nota interlineare del rigo precedente, ha aggiunto nell’interlineo auctores.
Dopo -h- era scritta ę poi erasa parzialmente.
Le aste di b, h, I alta, l presentano nella parte superiore un rigonfiamento (aste clavate) o un raddoppiamento a frusta.
La a assomiglia due c accostate.
La b è aperta.
La c, come quella della corsiva, si innalza sul corpo delle altre lettere.
La d è di forma onciale.
La e ha la testa rotonda e chiusa che si innalza sopra la linea di scrittura.
La i è di due forme alta o piccola: tale utilizzo non sottostà, in questo periodo, ad alcuna regola.
La r ha la forma più comune: l’asta verticale scende oltre la linea di scrittura, mentre il tratto trasversale ripiega bruscamente. La forma “corta” è di solito usata in legatura e nei manoscritti di questo periodo (il primo IX-X) anche a fine di parola.
La s si innalza oltre la riga.
La t è in tre tratti. Somiglia ad una a da cui si distingue per il tratto orizzontale allungato.
Si noti la legatura -ei. La i forma quasi sempre una legatura enclitica.
Si noti la legatura fi. La i forma quasi sempre una legatura enclitica.
Si noti la legatura li. La i forma quasi sempre una legatura enclitica.
Si noti la legatura ri. La i forma quasi sempre una legatura enclitica.
Nel testo si mette in evidenza la distinzione grafica tra il suono duro (ti) e quello della sibilante (tj).
Esempio di legatura ec.
Si noti la forma peculiare dell’et.
Si mette in evidenza il nesso tu.
Si notino le due forme che, nella beneventana, assume il dittongo ae.
La lineetta semplice posta sulla lettera ha valore generico ed indica una contrazione o un troncamento.
Un segno, molto simile all’attuale punto e virgola o al numero 3, equivale in generale a -us; tuttavia, dopo q, a -que.
L’ornamentazione è scarsa. Compaiono lettere iniziali ornate poveramente con intrecci di gusto irlandese.
Titoli scritti in onciale.
Aggiunta nell’interlineo con il segno di chiamata posto in un primo momento dopo veteres quindi prima di ablativo a coprire quello che sembra un punto di pausa breve.
tione tam genitivum quam dativum, ut Sallustius: «dubita
bit acie pars», p(ro) 'aciei', Virg(irius) in I georg(icon): «Libra die somniq(ue) pares
ubi faecerit horas»: 'die' p(ro) 'diei'. Ovidius quoq(ue) in II metamorp(hoseon):
'fide' p(ro) 'fidei' posuit: «Prima fide vocisq(ue) ratę temptamina su(m)psit.
idem in VI: «Utq(ue) fide pignus dextras utriusq(ue) poposcit».
De accusativo sing(ularis) V decli(nationis).
Accusativus a nominativo fit mutata s in m
et necessario correpta e. Nu(m)qua(m) enim ante m termi
nalem longa invenitur vocalis, ut 'hunc meridiem',
'hanc rem'. De vocativo singul(ari) V decli(nationis)
Vocativus similis est nominativo: 'hic meridies o meridies'.
De ablativo casu sing(ularis) V declin(ationis)
Ablativus quoq(ue) fit a nominativo abiecta s: 'hic me
ridies ab hoc meridie', 'hęc acies ab hac acie'. Inveniuntur
tamen huiuscemodi uti ablativo veteres etiam p(ro) genetivo
usu, ut Verg(ilius): «Libra die somniq(ue) pares ubi fecerit horas», 'die'
posuit pro 'diei'. Sallustius: «dubitavit acie pars», p(ro) 'aciei'. Idem,
«at inde nulla munitionis aut requie mora processit
ad oppidum», 'requie' p(ro) 'requiei'. Quidam tamen antiquissi
morum etiam similem nominativo genetivu(m) p(ro)tulerunt eius
declinationis. De pl(uralibus) casibus V decli(nationi).
Pluralis nominativus et accusativus et vocativus simi
lis est nominativo singulari: 'hęc res hae' et 'has' et 'o res'.
Genetivus fit addita ablativo singulari 'rum': 'ab hac
re harum rerum', 'a die dieru(m)'; qui tamen in aliis fere omnib(us)
usu apud plerosq(ue) deficit. Itaq(ue) Cicero hoc approbat