20. DALLA SCRITTURA UMANISTICA AL LIBRO A STAMPA
Diffusione della scrittura umanistica
Mentre - non si deve dimenticare - i libri di tipo universitario continuavano a essere scritti nelle gotiche librarie, con testo a due colonne e grandi margini da utilizzare per il commento (nella medesima scrittura erano realizzati i libri per uso liturgico e conventuale), alcuni copisti, seguendo l’esempio di Poggio Bracciolini e di Niccolò Niccoli, intrapresero la strada dell’imitazione della carolina.
Fra i primi fu l’attivissimo Antonio di Mario, futuro notaio della Signoria di Firenze fra il 1436 e il 1446, di cui rimangono circa quaranta codici, molti dei quali realizzati per incarico di Niccoli e confluiti poi nella biblioteca di classici di Cosimo de’ Medici. Gherardo del Ciriagio, anch’egli notaio della Signoria fiorentina fra il 1457 e il 1464, fu copista per conto dei Medici e del libraio fiorentino Vespasiano da Bisticci, e realizzò in elegante e sicura scrittura minuscola umanistica decine di codici di classici latini e greci tradotti in latino, fra i quali, nel 1461, il Vat. lat. 1811, che riporta la Storia di Diodoro siculo tradotta da Bracciolini. A Firenze, per la bottega di Vespasiano da Bisticci, operò anche Antonio Sinibaldi (1443-1499) che copiò nell’Urb. lat. 666 i Carmina di Prudenzio destinati alla biblioteca urbinate di Federico da Montefeltro, e che in seguito operò a Napoli al servizio di Ferrante d’Aragona.
Da Firenze, infatti, la minuscola umanistica si propagò rapidamente in Italia, facilitata dalla disinvoltura con cui dotti e copisti si spostavano da una città all’altra, insieme agli ideali dell’umanesimo che si stavano diffondendo nelle corti dei pontefici romani e dei principi italiani. La loro committenza fu di straordinaria importanza per alimentare le biblioteche papale e signorili con la produzione scrittoria umanistica, sia di origine fiorentina sia di origine locale. In questo processo di diffusione, la antiqua fiorentina subì, qua e là, piccole variazioni.
A Roma, Niccolò V e poi Pio II chiamarono vari umanisti. Commissionato da Paolo II fu il manoscritto delle Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso, appena tradotte dal greco da Lampugnino Birago, copiate da Antonio di Domenico da Toffia nel 1460-1470 nel Vat. lat. 1819. Si tratta di una forma di antiqua particolarmente rotonda con un tratteggio uniforme e dritto, piccoli ornamenti alla fine delle aste ascendenti e discendenti, l’uso del dittongo nella forma æ, e soprattutto con le lettere scritte isolatamente una per una. Fra i maggiori centri di raccolta di libri nella seconda metà del Quattrocento fu la biblioteca costituita a Urbino da Federico da Montefeltro. Molti codici furono acquistati dalla bottega di Vespasiano da Bisticci, come la celebre Bibbia Urbinate, copiata da Ugo de Comminellis nel 1477-78, Urb. lat. 1-2, fra i maggiori capolavori artistici del mondo manoscritto. Altri furono prodotti da copisti che lavorarono a Urbino, come Federico Veterani o Matteo Contugi, che realizzò per Federico da Montefeltro il bellissimo Dante Urbinate, Urb. lat. 365, dopo aver lavorato per anni al servizio dei Gonzaga di Mantova e degli Este di Ferrara.
Urb. lat. 1 e 2, Bibbia Urbinate
Molte altre biblioteche di principi in Italia furono arricchite da manoscritti in scrittura umanistica, realizzati da copisti locali e spesso con scambio di copisti e miniaturisti famosi. Oltre alle citate corti di Mantova e di Ferrara, non si possono dimenticare quelle dei Malatesta a Cesena, degli Sforza a Milano e di Napoli, capitale del regno aragonese, dove Ferrante I raccolse una biblioteca imponente dove si elaborò anche uno stile grafico rinnovato rispetto a quello fiorentino. Di alcuni umanisti si conoscono le scritture, spesso umanistiche di tipo corsivo, come nel manoscritto Vat. lat. 3285, con testi di Lucano, realizzato Pomponio Leto attorno al 1470 probabilmente a Venezia, o nel Vat. lat. 3617, dove il giovane Angelo Poliziano nel 1475 trascrisse (con altri) parte dell’Iliade di Omero che egli stesso aveva tradotto in esametri latini.
Esempi di scrittura umanistica si trovano anche fuori dai confini italiani. Non mancarono infatti scambi fra dotti di diverse provenienze e umanisti italiani, come in occasione dei Concili di Costanza e di Basilea (dove si trovò anche Poggio Bracciolini), o alla corte imperiale a Vienna, dove per anni soggiornò Enea Silvio Piccolomini, futuro papa Pio II, o in Inghilterra, dove lo stesso Bracciolini era stato per quattro anni. Da questi scambi si generarono interessi per i classici, per la nuova cultura umanistica e per la scrittura che ne era il veicolo, così che esempi di quel modo di scrivere libri, pur limitati a particolari élite, si trovano anche in Francia, nelle Fiandre, in Spagna e in Germania.