2.1 Alcune nozioni sulla natura e la confezione del libro manoscritto
Nelle epoche e nell'ambiente di cui ci occupiamo, vari materiali sono stati utilizzati per scrivere: materiali duri (pietra, intonaco dei muri, terracotta, ecc.) incisi o scritti con materie coloranti, tavolette di legno ricoperte o non di cera, fogli sparsi o mazzetti di fogli di papiro, di pergamena, di carta. Tutto questo materiale di studio della codicologia è di interesse anche per la paleografia. Questo percorso è tuttavia rivolto soprattutto al libro destinato alla diffusione delle opere “letterarie” (in un senso ampio) e quindi ci si occupa qui dei materiali e delle forme normali del libro utilizzato a questo scopo. Le due principali forme del libro sono il rotolo e il codice. I materiali utilizzati sono il papiro, la pergamena e la carta.
2.1.1 Il rotolo di papiro
Dal sec. IV a.C. fino ai primi secoli dell'era cristiana, la forma normale del libro è il rotolo di papiro. Dal midollo di una canna (la «cyperus papyrus»), che cresce abbondante nel delta del Nilo, vengono tagliate strisce strette circa 2 cm, che vengono accostate e giustapposte in due strati perpendicolari, pressate (senza colle) ed essiccate, in modo da formare un foglio di 20/30 cm di altezza e di 15/25 cm (comunemente 16/18 cm) di larghezza. Su una facciata del foglio si vedono le fibre vegetali correre orizzontalmente, sull’altra verticalmente. Un certo numero di fogli incollati l'uno all'altro lungo i bordi laterali lunghi e girati tutti dalla stessa parte (tranne, spesso, il primo foglio, detto protocollo) formano una lunga striscia che viene avvolta, tenendo all’interno il lato con le fibre orizzontali. In tal modo si forma un rotolo, pronto per essere scritto. Il rotolo immesso nel commercio contava normalmente 20 fogli (4/5 metri era la misura standard); il rotolo-libro, cioè il rotolo dopo che è stato scritto, può essere più corto (veniva tagliato alla fine della scrittura del testo) oppure più lungo (anche 10/11 metri), ottenuto dalla unione di diverse parti fino al raggiungimento della lunghezza necessaria a contenere tutto il testo. Per scrivere (e poi anche per leggere), il rotolo si distendeva poco per volta da sinistra a destra. Il copista usava per scrivere il calamo (cfr. 2.2), con il quale attingeva da un contenitore (calamaio) l’inchiostro di nerofumo (cfr. 2.2). Fino all'alto medioevo, in Oriente il copista stendeva il rotolo (e più tardi il foglio) sulle ginocchia; l'uso di tavolette di legno appoggiate sulle ginocchia e poi di veri e propri tavoli, conosciuto dai Romani, si generalizzò più tardi e soltanto in Occidente. Il testo è disposto in colonne con le righe di scrittura (mediamente lunghe cm 14 ca., quanto serve per scrivere un esametro in greco) parallele al lato lungo del rotolo. Lo spazio tra le colonne e tra le righe è calcolato a vista e pertanto non è sempre regolare. Il rotolo è scritto normalmente soltanto sul lato interno, sul quale la scrittura corre parallelamente alle fibre della pianta. Il libro finito è arrotolato attorno a un cilindro di legno (umbilicus), spesso provvisto di una piccola targhetta sulla quale sono iscritti il nome dell'autore e il titolo dell'opera. Talvolta queste informazioni sono scritte nel protocollo, che è il foglio più esterno quando il libro è arrotolato. La diffusione del rotolo di papiro è attestata a partire dal secolo IV a.C. Alla fine del secolo I d.C., il rotolo cominciò a subire la concorrenza dell'altra forma di libro, il codice (prima di papiro, poi di pergamena). La sostituzione del codice al rotolo fu progressiva e lenta in ambiente pagano, mentre fu repentina e generalizzata in ambiente cristiano. Si trattò in questo caso di un'innovazione voluta, ma i cui motivi rimangono più o meno ipotetici (praticità per il trasporto, la lettura, lo studio; livello culturale più modesto del codice, in un ambiente sociale più modesto; volontà di distinguersi dai pagani e dagli Ebrei). Alla fine del sec. IV d.C., il codice aveva soppiantato quasi del tutto il rotolo e, dal sec. IV al sec. VII, la pergamena eliminò progressivamente il papiro, ponendo anche fine all'uso librario del rotolo, che riapparì soltanto in casi ben specifici ma per altri usi e in altre forme (ad es.: rotoli liturgici bizantini, documentati dall'VIII secolo fino al periodo della stampa; rotoli di «Exultet» latini in pergamena, spesso illustrati, usati in Italia meridionale dal X al XIV secolo; altri tipi particolari di testi in Occidente; questi rotoli medievali sono scritti parallelamente al lato corto, e quindi srotolati dall'alto in basso.
Vat. lat. 3867, f. 3v. Il poeta Virgilio regge un rotolo di papiro contenente la sua opera, accanto a lui la rappresentazione di una capsa.
2.1.2 Il codice di pergamena
Il codice fu la forma normale del libro dal IV secolo d.C. fino ad oggi (se escludiamo gli e-book). Il costituente base è il fascicolo fatto da uno o più fogli piegati e inseriti l'uno nell'altro. Più fascicoli cuciti insieme formano un blocco detto codice. Nell'analisi materiale di un codice, molti elementi sono da considerare. Essi possono fornire indicazioni preziose sulla data e il luogo d'origine del libro, e contribuire in tal modo a precisare meglio i risultati dell’analisi paleografica. Ecco brevemente i più importanti.
2.1.2.1 LA MATERIA E LE DIMENSIONI
Il codice è fatto di papiro fino al IV secolo, di pergamena fino al XVI secolo o di carta a partire, in Occidente, dalla fine del XIII secolo. La pergamena è una pelle (di pecora, capra, vitello) che viene immersa in un bagno di calce, poi raschiata e levigata mettendola in un apposito telaio che consente una forte tensione; questa procedura consente di ottenere un materiale di colore molto chiaro, robusto e flessibile, liscio e adatto ad accogliere la scrittura; la pergamena conserva sempre una differenza (più o meno evidente) tra il lato che era all’esterno dell’animale (detto lato pelo) e quello interno (detto lato carne); lo spessore, il colore, la morbidezza dipendono dalla qualità del processo di preparazione e dall’età dell’animale. In ogni caso si trattava sempre di un prodotto “di scarto”: non si uccidevano animali per fabbricare pergamena, ma per mangiarli, e la pelle non è commestibile. La carta è fatta con una pasta a base di stracci di lino e canapa sfibrati meccanicamente e lasciati a lungo a macerare nell’acqua in un tino. In questa pasta si immerge la forma, che è un setaccio realizzato con sottili fili metallici incrociati fra loro perpendicolarmente, montato su una cornice di legno; estraendo la forma dal tino con un sottile strato di pasta, si lascia asciugare finché il risultato è un foglio di carta. Su tale foglio rimangono visibili (in controluce) le impronte lasciate dai fili metallici della forma (vergelle e filoni) che permettono di riconoscere il tipo di carta; in Occidente, dalla fine del sec. XIII, si aggiunge l'elemento più significativo: la filigrana, figura impressa nella pasta da fili metallici cuciti al setaccio, usata come sigla del fabbricante. Il tipo (pelle per lo più di pecora, capra o vitello) e la qualità di preparazione della pergamena, le particolarità della carta (aspetto dei filoni e delle vergelle, identificazione delle filigrane) sono tutti elementi significativi che contribuiscono a datare e a localizzare un codice. Anche le dimensioni (in particolare il rapporto tra altezza e larghezza) hanno subìto variazioni caratteristiche di determinate epoche o aree (ad es.: codici di pergamena quadrati dei sec. IV e V d.C., ecc.).
2.1.2.2 LA CONFEZIONE DEI FASCICOLI
In genere, un fascicolo è costituito da più bifogli (secondo la nomenclatura che qui si utilizza; in alcuni Paesi sono detti “fogli”): il numero più frequente è 4 e il fascicolo viene detto quaternione: 4 bifogli (o “fogli”) = 8 fogli (o “carte”) = 16 pagine, ma spesso il fascicolo è composto da 5 bifogli (quinione); nel basso Medioevo e nel Rinascimento è frequente anche il senione (6 bifogli). I bifogli sono inseriti l'uno nell'altro. Nei primi codici di papiro, quando si apre il fascicolo, ci si può trovare di fronte una faccia (o pagina) a fibre verticali e una a fibre orizzontali. Nei codici di pergamena invece, di norma, a codice aperto, si trovano di fronte due lati carne o due lati pelo (cosiddetta «legge di Gregory», dal nome di C. R. Gregory, 1846-1917, che per primo studiò questo tema). Tale disposizione è dovuta probabilmente a ragioni estetiche, ma si può osservare anche che essa è ottenuta automaticamente se una pelle è piegata tre volte prima di essere tagliata per costituire un quaternione. Fino all'alto Medioevo, i fascicoli cominciano normalmente con il lato carne della pergamena; in seguito, con il lato pelo in Occidente e con il lato carne presso i Bizantini. Prima di essere scritti, i fogli sono rigati per facilitare una scrittura ordinata, con margini e distanza fra le linee predefiniti. La rigatura viene eseguita a secco, con uno stilo metallico oppure con sottili linee tracciate con inchiostro o con matita, a seconda della regione e dell’epoca. Il "sistema di rigatura" (il modo in cui si sono tracciate le linee) e il "tipo di rigatura" (il disegno formato dall'insieme delle righe sulla pagina) possono offrire indizi sull'origine del libro. I fascicoli costituiti e rigati per essere scritti vengono quindi numerati («segnati») secondo diversi sistemi: con numeri, o con lettere e numeri, su ogni bifoglio, raramente si numerano i fogli o le pagine. Nel basso Medioevo e nell’età umanistica si diffonde anche l’uso dei "richiami" (le prime parole del fascicolo vengono scritte fuori margine alla fine del fascicolo precedente; ovviamente ciò può essere fatto solo dopo la scrittura del testo).
2.1.2.3 LA SCRITTURA (COPIATURA) DEL TESTO
Il copista divideva abitualmente il fascicolo in bifogli per eseguire il suo lavoro. In Oriente si continuò a usare il calamo, mentre in Occidente si diffuse a partire dal VI secolo la penna d'oca (cfr. 2.2); l'inchiostro usato era ormai di tipo metallo-gallico (cfr. 2.2). La grandissima parte dei manoscritti oggi conservati non sono stati scritti direttamente dagli autori dei testi, ma sono stati copiati da personale specializzato, i copisti (detti anche amanuensi). Nell’antichità classica il lavoro era svolto da scribi, spesso schiavi istruiti o liberti che operavano su commissione. Dalla tarda antichità fino al secolo XIII si trattò quasi esclusivamente di monaci, soprattutto benedettini, nei cui monasteri spesso era organizzato uno scriptorium, un luogo in posizione bene illuminata e attrezzata per il lavoro di copiatura; nei centri di scrittura più importanti, oltre ai copisti lavoravano anche i correttori, che rileggevano il testo confrontandolo con l’originale e intervenendo per correggere errori e sviste, e un direttore dello scriptorium, che distribuiva e controllava il lavoro e spesso è a lui che si devono alcune caratteristiche comuni a tutti i manoscritti che lì venivano prodotti, ad esempio il tipo di rigatura, o l’uso di particolari inchiostri colorati; ma soprattutto importante per la paleografia è che proprio negli scriptoria si svilupparono nuovi stili grafici, nuovi tipi di scrittura. A partire dal XIII secolo, specialmente con la nascita delle università e con l’ampliarsi del pubblico dei lettori, si formò una categoria professionale di laici copisti. Sulle condizioni concrete della copiatura (luogo e data, committente, copista, prezzo, modello usato, ecc.), forniscono talvolta utili indicazioni le sottoscrizioni (o colofoni) poste dal copista alla fine del manoscritto. Tuttavia le sottoscrizioni sono piuttosto rare, soprattutto prima del basso Medioevo; quindi, più spesso, lo studio dei centri di copiatura e della loro produzione si basa sugli indizi forniti dalla confezione materiale del codice e sull'analisi della scrittura, che è appunto l’oggetto della paleografia.
2.1.2.4 LA DECORAZIONE
Urb. lat. 3, f. 16r, Evangeliario di Lotario I, L di "Liber generationis"
Un elemento importante del libro manoscritto è la decorazione che, anche se non del tutto assente nei papiri sotto, forma di illustrazioni, conobbe uno sviluppo decisivo con il codice di pergamena. Per decorare i codici si usavano vari inchiostri colorati (cfr. 2.2) e i lavoro veniva abitualmente svolto da una persona diversa dal copista, dotata di capacità artistiche più o meno sviluppate. Si usa distinguere tra l'illustrazione propriamente detta (le miniature) e la semplice (che può in realtà essere anche molto complessa) ornamentazione. L’illustrazione, costituta da veri e propri piccoli quadri, è utilizzata in opere tecniche (militari, mediche, astronomiche, ecc.) e nei libri di lusso: accanto alle illustrazioni mitologiche, sono soprattutto frequenti quelle relative alla Sacra Scrittura e alle collezioni liturgiche e agiografiche, ma sono talvolta illustrati anche cronache e altri libri storici, poemi epici e allegorici, opere patristiche e giuridiche. La ornamentazione, molto sobria fino all'alto Medioevo, se si eccettuano i cosiddetti «canoni di Eusebio» (tavole di concordanza dei vangeli) riccamente ornati dal VI sec. in poi, riguarda lettere iniziali, titoli, fregi, cornici, frontespizi. Si sviluppò e si diversificò nei secoli successivi. Le tecniche di esecuzione, i motivi, le relazioni tra testo, illustrazioni e ornamentazione, tra copisti e artisti aprono un campo immenso alla ricerca, occupato da un’apposita disciplina, la storia della miniatura e della decorazione del libro. Diversi sono i criteri con cui vengono distinte le varie categorie di iniziali (ad es.: calligrafiche, filigranate, ornate, istoriate).
2.1.2.5 LA LEGATURA
Dopo la scrittura e l’eventuale decorazione, i fascicoli erano riuniti e cuciti fra di loro, formando il codice, che veniva completato abitualmente da una copertura, e viene detto rilegato. La tecnica di esecuzione e l'ornamentazione della legature costituiscono un altro campo di investigazione per lo storico del libro manoscritto. Nel mondo mediterraneo il punto di partenza fu costituito da insiemi di tavolette di legno, riunite mediante fili che passano attraverso alcuni fori praticati lungo il bordo delle tavolette. Nei primi codici rilegati conservati (provenienti dall’Egitto, II-IV sec. d.C.), il blocco dei fascicoli è fissato a due piatti con lacci di cuoio che passano attraverso appositi fori nella piegatura dei fascicoli, mentre il dorso è coperto da una striscia di cuoio; i piatti sono di legno, di cartone (a base di papiro), di cuoio senza sostegno di legno o di legno coperto di cuoio. Nel Medioevo si perfezionarono le tecniche di cucitura e di fissaggio dei fascicoli ai piatti, costituiti di assicelle di legno. Nell'alto Medioevo occidentale s'introdusse verso il sec. X, e si generalizzò poi, la cucitura su nervi, facilitata dall'invenzione del telaio, che rendono il codice più robusto, ma talvolta più scomodo da aprire; i nervi sporgono sul dorso, costituendo un elemento estetico supplementare. L'Oriente rimase fedele alla cucitura senza nervi, fatta a catenelle (dalla forma che assumono i fili annodati) alloggiate nelle apposite incisioni praticate nelle pieghe dei fascicoli ("grecaggio") e di conseguenza il dorso rimane piatto. Inoltre, le assicelle bizantine conservano le stesse misure del blocco dei fascicoli e sono rivestite in tutto o in parte da una copertura di cuoio, che si prolunga sul dorso; le parti superiori e inferiori di quest'ultimo sono protette dai capitelli, che rafforzano anche la solidità dell'insieme; a differenza degli occidentali, i capitelli bizantini si estendono su una parte delle assicelle e sporgono rispetto al blocco costituito dai fascicoli. Siccome i codici erano conservati in posizione orizzontale, alcune borchie (chiodi a grosse teste) proteggono i piatti e il libro è mantenuto ben chiuso da fermagli. L'ornamentazione della copertura è costituita normalmente da disegni (geometrici, vegetali, zoomorfi, antropomorfi) impressi sul cuoio con speciali ferri; all'impressione a secco si aggiunge in Occidente l'uso dell'oro. Nelle legature di lusso, i piatti sono fatti d'avorio oppure ricoperti di placche di metallo pregiato (arricchite spesso di gemme) o di stoffe preziose. Nel periodo umanistico-rinascimentale (secoli XV e XVI) e nei secoli successivi, quando i codici, fatti di carta, erano più leggeri, s'incontrano anche piatti di cartone duro oppure di cuoio o pergamena flessibili.