18. RITORNO ALL’ANTICO E REAZIONE ANTIGOTICA
Negli ultimi anni del Duecento e nei primi decenni del Trecento, in alcune regioni europee, il clima culturale stava cambiando. La riscoperta, lo studio e un rinato interesse per autori che erano stati dimenticati e per il mondo classico che rappresentavano condusse ad ispirarsi a modelli linguistici, stilistici e letterari dell’antichità e si prese coscienza della necessità di un rinnovamento culturale che significava anche distacco, talvolta radicale, dalla cultura contemporanea. Si cercarono manoscritti e iscrizioni e si cominciarono anche a imitare modelli grafici. Questo “ritorno all’antico” fu la principale componente del cosiddetto “pre-umanesimo”, che si sviluppò specialmente in Toscana, nel Veneto, e alla corte papale di Avignone, con l’attività di figure come Lovato Lovati e Albertino Mussato a Padova, Landolfo Colonna ad Avignone, Ferreto Ferretti a Vicenza, Convenevole da Prato in Toscana e poi ad Avignone, e molti altri. Da questi cenacoli di letterati e professionisti ebbe inizio un movimento culturale che, sotto il profilo della storia della scrittura, si configurò come una reazione antigotica. Lovati e Colonna, ad esempio, imitarono consapevolmente la carolina dei secoli X e XI.
Di questo ritorno all’antico (generale, ma anche grafico), il migliore interprete fu un allievo di Convenevole da Prato, Francesco Petrarca (1304-1374), fra i primi grandi poeti italiani, sempre interessato alla scrittura e al libro. Di suo pugno scrisse molti codici, alcuni dei quali sono giunti fino a noi.
La semigotica e Francesco Petrarca
La produzione grafica italiana del Trecento fu attraversata da filoni e tendenze legati alla tradizione carolina, rappresentati da strumenti scrittori, come la punta non mozza o mozza al centro (e quindi senza chiaroscuri, come la mercantesca), dalla rotondità della gotica locale (la rotunda), dalla spazieggiatura ariosa, dallo slancio delle aste (come nella minuscola cancelleresca libraria). Dal medesimo tipo di scrittura usuale, da cui derivarono la cancelleresca e la mercantesca (Supino Martini, Per la storia, pp. 249-264), si sviluppò anche un altro tipo di scrittura, detto SEMIGOTICA, a lungo ritenuta una sorta di “invenzione” di Francesco Petrarca, che amava questa scrittura e la usò per le proprie glosse e anche per interi codici. In realtà, questa scrittura si trova già del tutto formata ad esempio nel Vat. lat. 11559, con il poema Pharsalia di Lucano, copiato nel 1305.
Ma alcuni decenni più tardi, Francesco Petrarca ebbe un’influenza determinante nell’avvio di una nuova cultura grafica perché sviluppò una precisa e consapevole polemica contro quella del suo tempo. In due lettere a Giovanni Boccaccio, che costituiscono una sorta di manifesto grafico e librario, Petrarca criticò le scritture gotiche, ritenute esageratamente artificiose, difficili da leggersi e troppo ricche di elementi ornamentali, stigmatizzò gli scribi ignoranti che corrompevano i testi in trascrizioni scadenti e scorrette, lodò la sobrietà, la chiarezza, l’eleganza, la semplicità della scrittura carolina. Soprattutto, enunciò i principi teorici cui si doveva attenere la nuova scrittura libraria che egli propugnava, fondata sull’imitazione della minuscola carolina (di cui possedeva diversi esemplari nella sua biblioteca): semplice e chiara, leggibile a prima vista, corretta ortograficamente.
Sono rimasti circa sessanta codici annotati o interamente trascritti da Petrarca, che non riuscì a liberarsi interamente dalla tradizione gotica (usò sempre la penna mozzata a sinistra). Tuttavia, sia nella scrittura testuale, dove la sua semigotica divenne spaziosa, elegante ed equilibrata, come nell’autografo del Canzoniere del Vat. lat. 3195, scritto tra il 1366 e il 1374, in parte da lui stesso e in parte dal suo copista Giovanni Malpaghini, sia nella cosiddetta scrittura di glossa (ad esempio nel Vat. lat. 2193, dove raggiunse notevoli livelli di armonia e di eleganza commentando testi classici in gotica, cfr. 16.3), egli fu esempio di una continua ricerca per il superamento della scrittura gotica e aprì la strada che sarà percorsa dai suoi continuatori, discepoli e amici.
Coluccio Salutati e la pre-antiqua
L’eredità grafica di Petrarca venne raccolta a Padova dal discepolo Lombardo Della Seta, che diresse un centro scrittorio in cui vennero moltiplicate le copie delle opere del maestro imitandone anche la scrittura (e quindi realizzate in una semigotica chiara ma non aperta ad altre innovazioni) e soprattutto a Firenze, dove Coluccio Salutati, notaio e cancelliere della Repubblica per un trentennio dal 1375, utilizzò la semigotica petrarchesca ma inserendovi elementi imitativi della carolina, arrivando a elaborare una scrittura che vien detta pre-antiqua perché preluse alla scrittura umanistica, detta antiqua dagli umanisti. Merito di Salutati fu aver diffuso questa scrittura anche attraverso la sua attività professionale, con i documenti ufficiali della Repubblica fiorentina, redatti da lui o sotto la sua diretta guida e sorveglianza, che circolavano abbondantemente, e di aver in tal modo indotto all’imitazione dei modelli antichi.
In campo librario, le caratteristiche della pre-antiqua si trovano ad esempio nella seconda parte del Vat. lat. 2063, un codice fatto assemblare dallo stesso Salutati, che ad alcuni testi di Platone in gotica fece unire altri testi del medesimo autore copiati non da lui direttamente (come a lungo si è pensato) ma da un suo collaboratore di fiducia, Iacopo Angeli da Scarperia. L’opera di Coluccio Salutati, come quella di Francesco Petrarca, rappresentò dunque, nella storia della scrittura latina, un importante momento di transizione verso la rinascita della carolina che stava per realizzarsi compiutamente.