17. LA MINUSCOLA CANCELLERESCA E LA MERCANTESCA
La scrittura minuscola diplomatica (cfr. 15.2.1) utilizzata dalle cancellerie (dell’imperatore, del papa, dei re, di grandi feudatari e vescovi) per redigere documenti, si era diffusa in modo uniforme a livello internazionale. Tra l’XI e il XII secolo, questa scrittura si estese per la crescente necessità di scrivere anche al di fuori dell’ambiente delle cancellerie o degli studi, divenendo strumento di attività lavorative, ad esempio quella dei notai, che si erano molto diffusi, e del ceto artigiano e mercantile. Dalla minuscola diplomatica, all’inizio del secolo XIII si sviluppò, specialmente in Italia, una nuova corsiva detta anche littera minuta cursiva (Casamassima, Tradizione). Da questa si formeranno a loro volta due nuove forme di scrittura, utilizzate come scrittura documentaria e usuale, ma anche come scrittura libraria, che si diffusero anche grazie a un sistema scolastico privato, gestito direttamente dai ceti professionali: la MINUSCOLA CANCELLERESCA, usata dai notai e dalla classe colta non universitaria, e la MERCANTESCA, scrittura professionale dei mercanti, usata anche per testi letterari (ma solo in lingua volgare).
La minuscola cancelleresca
Divenuta presto la scrittura insegnata nelle scuole notarili, e realizzata con una penna tagliata centralmente, che tratteggia quindi segni più morbidi, quasi senza chiaroscuro, rotondeggianti, ha un sempre maggior numero di legamenti, talvolta realizzati con movimento della mano sinistrogiro (antiorario) e non destrogiro, con prolungamenti, svolazzi aggiunti alle aste alte che risultano molto slanciate suo rigo e code in alcuni tratti discendenti, e con un aspetto ornamentale anche nei segni abbreviativi.
Venne utilizzata anche nei libri, ma per quei testi che non appartenevano alla cultura ecclesiastica o universitaria, per i quali si continuava a usare la gotica. Servì per i testi in lingua volgare, come operette ascetiche e devozionali, raccolte di prediche, ricettari, cronache cittadine e componimenti poetici, ed è la scrittura in cui vennero diffusi e copiati, tra la fine del Duecento e nel Trecento, i più antichi testi letterari italiani. Della seconda metà del secolo XIII un bell’esempio è il Chig L. VIII. 305 (Canzoniere della lirica italiana) e nel secolo successivo sono almeno quaranta i codici con testi di Dante Alighieri realizzati in minuscola cancelleresca.
Chig L. VIII. 305, f. 1r, Canzoniere della lirica italiana
Fuori dall’Italia, specialmente in Francia ma anche in altri paesi europei centro-settentrionali, la minuscola cancelleresca si incrociò con la coeva gotica textualis, con un processo di reciproca influenza che diede origine, all’inizio del secolo XIV, a una scrittura detta Bastarda. Si tratta di una scrittura angolosa, con forti contrasti tra tratti spessi e sottili, brevissimi tratti ascendenti ma con la s e la f che si prolungano sotto il rigo, come nella cancelleresca. Utilizzata soprattutto come scrittura di cancelleria, ebbe anche una certa diffusione in ambito librario; un esempio è il Pal. lat. 1523 con testi di Cicerone, realizzato all’inizio del secolo XV nella Francia settentrionale.
La mercantesca
Lo sviluppo delle attività commerciali, bancarie e artigianali indusse coloro che le praticavano a dotarsi sempre più di documentazione scritta: libri di conti, libri mastri, inventari, lettere di cambio. Era dunque necessario anche per loro saper scrivere, e soprattutto saper far di conto e, a questo scopo, le varie corporazioni organizzarono scuole con finalità di insegnamento tecnico-professionale, ad esempio quelle che a Firenze vennero dette “scuole di abaco”, nelle quali si insegnava anche l’uso delle cifre arabe per scrivere i numeri, novità diffusa soprattutto da Leonardo Fibonacci all’inizio del XIII secolo in Toscana. In quelle scuole si sviluppò la scrittura detta Mercantesca.
Si tratta di una scrittura corsiva, ma rigidamente dritta, con un tratteggio uniforme, senza chiaroscuro, realizzata con una penna a taglio abbastanza largo. Il corpo delle lettere risulta schiacciato con scarso slancio delle aste, piuttosto rotondo e spesso con chiusura degli occhielli. I legamenti sono pochi, per lo più sinistrogiri (come nella cancelleresca) spesso con ritorno indietro ininterrotto del tratto dopo gli svolazzi discendenti sotto il rigo. Con il Quattrocento (quando dalla Toscana si estese anche a Bologna, Venezia, Genova) la mercantesca divenne più piccola e disordinata.
Venne usata anche in ambito librario per testi in volgare, quasi sempre in codici di carta e non di pergamena, specialmente per testi di natura tecnica (trattati di abaco e di mercatura, ma anche ricettari, manuali di agricoltura) opere devozionali e volgarizzamenti di testi patristici, testi in volgare, diari e cronache, libri di memorie.
Il fatto che la mercantesca manchi di un proprio alfabeto maiuscolo (per cui si usano le maiuscole della cancelleresca) e di un sistema di punteggiatura, indica che si tratta di una scrittura in un certo senso “subalterna”. Utilizzata soprattutto per un pubblico professionale rigidamente corporativo, che amava trovare libri nella scrittura che conosceva, durò fino alla prima metà del Cinquecento, quando le scuole di abaco, in cui quella scrittura si insegnava, gradatamente scomparvero. Un buon esempio di Mercantesca di uso librario si trova nel Pal. lat. 940, Cronica di Giovanni e Matteo Villani, sec. XIV (mercantesca).
Pal. lat. 940, f. 1r, Cronica di Giovanni e Matteo Villani