13.2 La scrittura Beneventana
13.2.1 La scrittura beneventana dalle origini al secolo X
Dal punto di vista grafico, nell’Italia meridionale ci si trova davanti a un vuoto finora incolmato che comprende il secolo VII e gran parte dell’VIII. Solo alla fine di questo si trovano alcuni documenti (prodotti a Cava dei Tirreni e a Montecassino), e sono scritti nella corsiva nuova della tradizione romana. Per quanto riguarda i codici librari, dopo quelli prodotti in onciale nel VI secolo in località dove si era mantenuta la tradizione tardo-latina (a Napoli, a Capua, al Vivarium di Cassiodoro), si deve aspettare la fine dell'VIII secolo per trovare quattro codici, realizzati a Montecassino, che hanno caratteristiche fra loro comuni di una nuova scrittura, ancora nella sua fase iniziale, la BENEVENTANA, che venne così definita già dal secolo XIV, perché ebbe la sua massima espansione nel Ducato di Benevento. Mabillon la chiamò invece longobarda distinguendola dalla francisca, termine con cui individuava la carolina.
A lungo si è pensato che la culla di questa tipizzazione fosse l’abbazia benedettina di Montecassino, dove si sarebbe ulteriormente sviluppata nei secoli IX e X e da dove poi, definitivamente formata nell'XI secolo, si sarebbe diffusa negli altri centri benedettini dell'Italia meridionale e della costa dalmata. Questa tesi fu sostenuta nel 1914 da E. A. Lowe, che censì circa 600 codici, di cui pubblicò quindici anni più tardi anche una imponente raccolta di facsimili.
Nella seconda metà del Novecento, due studiosi italiani misero in discussione il ruolo esercitato da Montecassino nella formazione della scrittura beneventana: G. Cencetti (Cencetti, Scriptoria) rilevando i collegamenti con la regione occupata dai Longobardi nell’Italia settentrionale e in particolare con l’abbazia di Nonantola (ma che sono oggi da riconsiderare), e G. Cavallo (Cavallo, Struttura) osservando la scrittura beneventana già formata nel secolo X a Benevento, ai tempi dell’arcivescovo Landolfo I, quando Montecassino, distrutta ottant’anni prima dai Saraceni, stava appena iniziando ad essere ricostruita e riorganizzata sotto la guida dell’abate Aligerno. A Benevento dunque, diventata in quel periodo con Pandolfo Capodiferro la capitale della riunificata regione della Langobardia meridionale, principato potente e in espansione, la scrittura si formò e da lì si diffuse nelle altre parti del meridione italiano.
La beneventana, già dal secolo X, ha alcune caratteristiche definite, come il tratteggio fluido, le forme delle lettere rotondeggianti, le lettere accostate fra loro, l’uso rigido di alcuni legamenti obbligatori e numerose altre legature.
Le lettere caratteristiche sono:
- a: nella forma o+c;
- e: con occhiello e traversa orizzontale alta;
- r: alta e scende sotto il rigo;
- t: con occhiello.
Si osservano anche:
- c: spesso è alta e crestata;
- i: alta quando è iniziale di parola o quando ha funzione semivocalica (eIus);
- ti: legamenti diversi per ti duro (statim) e ti assibilato (etiam) (analogamente a quanto avviene per la visigotica).
Alcuni esempi significativi sono:
- Vat. lat. 3313 (Prisciano, inizio sec. IX. A Benevento, o forse fine sec. VIII a Montecassino);
- Reg. lat. 1823 (Isidoro di Siviglia et al., sec. IX a Benevento);
- Vat. lat. 3317 (Servio, sec. X/XI a Montecassino o a Napoli);
- Pal. lat. 909 (Landolfo Sagace, sec. X/XI a Napoli?).
13.2.2 La scrittura beneventana nel secolo XI: barese e cassinese
Con il secolo XI, il panorama della scrittura beneventana si diversificò secondo aree geografiche, cui corrispondono due diverse evoluzioni, indicate oggi come tipizzazioni barese e cassinese.
All’inizio del secolo, a Bari si tipizzò una beneventana, detta BARESE, che presenta un formato molto grande, l’arrotondamento delle forme delle lettere, la riduzione delle aste, un tratteggio sottile e uniforme e l’uso frequente del segno tironiano con una linea sormontata da un punto per la parola est. Si è anche supposta una possibile influenza della minuscola greca, con lettere rotondeggianti e schiacciate, che circolava all’epoca in Puglia dopo la riaffermata presenza bizantina dalla fine del secolo IX. Ma la beneventana barese è piuttosto frutto del normale sviluppo della scrittura già definita nel secolo precedente. Un esempio è un evangeliario del sec. XI (Ott. lat. 296). Questa beneventana di tipo barese si diffuse anche in Dalmazia, dove venne utilizzata fino al secolo XIII.
A Montecassino, sempre nella prima metà dell'XI secolo, con gli abati Teobaldo e Richerio si verificò una vigorosa ripresa della produzione dei manoscritti, che continuò nella seconda metà del secolo con Desiderio, abate per quasi trent’anni e poi diventato papa Vittore III, e il suo successore Oderisio. Nel corso del secolo si affermò una tipizzazione, detta appunto CASSINESE, caratterizzata da un tratteggio molto contrastato, dovuto all’uso di una penna con la punta morbida mozzata a sinistra che produce tratti orizzontali, verticali e obliqui verso sinistra molto spessi e tratti obliqui verso destra molto sottili; inoltre, i tratti di collegamento orizzontali di alcune lettere sono allineati fra loro dando l’impressione di parole attraversate da un’unica spessa linea, le aste verticali corte (ad esempio nella m e nella i) sono spezzate e sembrano composte da due piccoli rombi, il sistema abbreviativo utilizza un segno simile a un 3 per indicare la mancanza di m o n, e utilizza una tipica abbreviazione per eius. Esempi sono un martirologio del sec. XI (Vat. lat. 4958) e un bel lezionario del sec. XI per i santi Benedetto e Scolastica, riccamente illustrato e detto Codex Benedictus (Vat. lat. 1202). La beneventana cassinese si diffuse in tutta l'Italia meridionale continentale, ma anche nelle isole Tremiti e sulla costa dalmata, spesso in concorrenza o in alternanza con il tipo barese.
13.2.3 Decadenza della scrittura beneventana
Nei secoli XII e XIII la beneventana divenne di modulo più piccolo e venne progressivamente sostituita come scrittura libraria dalla tarda carolina e dalla gotica, scritture che giunsero massicciamente nella regione al seguito dei Normanni, che conquistarono l'Italia meridionale, e dei monaci cisterciensi, che gradatamente sostituirono quelli benedettini tradizionali.
La beneventana continuò ad essere usata ancora a Montecassino e a Cava dei Tirreni, ma divenne quasi una scrittura artificiosa. È interessante osservare che fra XII e XIII secolo, in tutti i casi (tranne uno, il famoso Ritmo Cassinese, oggi Montecassino, Biblioteca, ms. 552) in cui si affiancano testi latini e volgari, quelli latini sono scritti in beneventana e quelli volgari in tardo-carolina o in gotica; segno che la scrittura beneventana è strettamente collegata al latino e la nuova scrittura carolino-gotica al volgare; è un ulteriore indizio dell'artificiosità e dell'isolamento della beneventana, ritenuta inadatta a scrivere nella nuova lingua. Sopravvisse fino al sec. XV nei documenti emanati dalla cancelleria pontificia.