Horatius Flaccus, Quintus, 65 a.C.-8 d.C.
La tradizione figurativa delle opere di Orazio non raccoglie un numero cospicuo di testimoni e i primi esemplari noti sono tutti databili dopo l’anno Mille (Villa, I manoscritti; Olsen, L’étude des auteurs). In Biblioteca Apostolica Vaticana, degli oltre duecento codici che si conservano delle opere di Orazio, solo quattro esemplari illustrati permettono di riflettere sulla storia della tradizione figurativa del testo oraziano; essi sono confezionati a partire dall’XI secolo fino al Quattrocento: Reg. lat. 1701; Vat. lat. 3261; Vat. lat. 1592; Vat. lat. 3173 (Buonocore, Codices Horatiani). Le opere con il testo di Orazio possono, talvolta, essere inoltre associate al commentario di Porfirione, come nel caso del ms. Reg. lat. 1701, che presenta il commento come glossa al testo; l’opera di Porfirione conobbe anche una tradizione illustrativa autonoma, che contribuì alla diffusione dell’ars poetica di Orazio, specialmente in epoca umanistica, testimoniata ad esempio dallo splendido esemplare ms. Chig. H. VII. 229.
Spesso si tratta di codici in cui l’uso del colore è ridotto ai toni del bruno, dal rosso al seppia, e l’immagine raffigurata si riduce al mostro in corrispondenza dell’apertura dell’epistola ai Pisoni (Alexander, Scribes as artists). Il mostro si presenta alcune volte con le fattezze di un tritone femmina dotata di ali e criniera, in altri casi il miniatore sembra attingere dalle forme ibride del suo repertorio iconografico adattandole alle esigenze del testo, come è il caso del Reg. lat. 1701, che raffigura un ibrido metà pegaso, metà centauro (f. 60r) (Villa, «Ut poesis pictura»). Una rappresentazione ricorrente nei codici oraziani è anche l’immagine di Mecenate, spesso raffigurato accanto al poeta, come in un codice parigino del secolo XI (Paris, Bibliothèque nationale de France, latin 8213) o nel Vat. lat. 3261 (f. 1v). Frequente è inoltre l’immagine di Orazio ad apertura delle opere, come dimostra il codice Vat. lat. 1592, posto a figura intera nel margine esterno (Buonocore, Augusto-Federico).
Tra i codici più lussuosi del testo oraziano non si può infine non ricordare il frontespizio del manoscritto berlinese, copiato a Napoli intorno al 1490 verosimilmente da Gianrinaldo Mennio da Sorrento e miniato da Giovanni Tedeschino (Preussicher Kulturbesitz, Kupferstichkabinett, MS 78 D 14). Tale codice, a differenza degli esemplari di epoca romanica citati in precedenza, non mostra alcuna relazione tra le parole del testo oraziano e le immagini raffigurate (Vedere i classici, pp. 17-18).