Gioacchino de’ Gigantibus, f. 1450-1485
Originario della Baviera, miniatore, calligrafo e forse anche illustratore di incunaboli, dall’attività molto documentata sia attraverso le sottoscrizioni lasciate nei codici sia attraverso il materiale archivistico (Toscano, La miniatura “all’antica”, p. 256; Pasut, Gioacchino di Giovanni, pp. 265-267, con bibliografie precedenti), egli imparò l’arte dell’illustrazione libraria probabilmente in una delle molte botteghe fiorentine. Trasferitosi presto a Roma – forse prima del 1455, poiché miniò per Niccolò V (1447-1455), morto in quell’anno, una raccolta di opere aristoteliche e pseudo aristoteliche in traduzione latina (Biblioteca Apostolica Vaticana, ms. Vat. lat. 2096; Maddalo, "Quasi preclarissima suppellectile", p. 21; Pasut, Gioacchino di Giovanni, p. 265) –, proprio nell’Urbe Gioacchino attese a un’ampia produzione destinata agli ambienti della Curia, per committenti come i cardinali Antonio de la Cerda (1448-1459) e Jean Jouffroy (1461-1473), per il vescovo Domenico Dominici (1448-1478; Ruysschaert, Miniaturistes “romains”, pp. 269-272; Pasut, Gioacchino di Giovanni, p. 266; cfr. ms. Vat. lat. 1057) o ancora per papa Callisto III (1455-1458; cfr. ms. Vat. lat. 4123, Ruysschaert, Miniaturistes “romains”, pp. 269-270; Maddalo, "Quasi preclarissima suppellectile", p. 21). Furono tuttavia Pio II (1458-1464) e Paolo II (1464-1471) i pontefici per i quali egli lavorò con maggiore continuità (Pasut, Gioacchino di Giovanni, p. 266); strinse inoltre rapporti professionali anche con alcuni dei più alti esponenti dell’Accademia pomponiana, come per esempio Fabio Mazzatosta, per il quale realizzò insieme a Bartolomeo Sanvito, una serie di codici collocabili tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli ’80 (mss. Vat. lat. 3279,Vat. lat. 3285,Vat. lat. 3302; Maddalo, I manoscritti Mazzatosta, pp. 47-86).
La sua capillare attività romana fu uno dei principali veicoli di diffusione dei bianchi girari al di fuori di Firenze (Pasut, Gioacchino di Giovanni, p. 266); Gioacchino adottò infatti un linguaggio estremamente riconoscibile che, negli anni, ebbe diversi epigoni anche se, talora, privi della raffinatezza del modello: egli eseguiva di preferenza frontespizi, pagine di incipit e iniziali a bianchi girari, spesso abitati da putti dalla caratteristica collana di grani in corallo rosso, da pappagallini, da coppie di animali affrontati. Un idioma artistico che egli contribuì a portare anche a Napoli nei dieci anni di servizio – 1471-1480 – presso la corte aragonese (Ruysschaert, Miniaturistes “romains”, p. 276); la critica ritiene infatti che, dai primi anni ’70 del secolo, la fortuna di Gioacchino nell’Urbe si fosse affievolita a causa del progressivo affermarsi, presso la Curia, del linguaggio antiquario, à la page nell’illustrazione libraria e introdotto da artisti come Bartolomeo Sanvito e Gaspare da Padova (Toscano, La miniatura “all’antica”, p. 256; Pasut, Gioacchino di Giovanni, p. 266). Alla corte aragonese di Ferrante il miniatore tedesco fu ugualmente impegnato in una produzione molto ampia: ne sono esempi il ms. lat. 12946, Paris, Bibliothèque nationale de France, non solo miniato, ma anche copiato da Gioacchino stesso, come ricorda il clipeo che sigilla il codice; il ms. lat. 6793 o ancora il ms. lat. 5827 – eseguito insieme a Cola Rapicano, celebre artista napoletano –, entrambi conservati a Parigi (Ruysschaert, Miniaturistes “romains”, p. 276; Pasut, Gioacchino di Giovanni, p. 266). Degli anni napoletani, seppure non riconducibile alla committenza aragonese, è inoltre il ms. Urb. lat. 249. Dopo la parentesi nel Meridione italiano, Gioacchino tornò a Roma dove entrò al servizio di Sisto IV (1471-1484), per il quale eseguì una serie di codici come i mss. Vat. lat. 408 e Vat. lat. 3568, entrambi nelle collezioni della Biblioteca Apostolica Vaticana; le ultime notizie sull’artista a oggi note si riferiscono ad alcuni pagamenti che egli ricevette negli anni di Innocenzo VIII (1484-1492), tra il 1484 e il 1485 (Ruysschaert, Miniaturistes “romains”, p. 269).
RUYSSCHAERT, Miniaturistes “romains”, pp. 245-282: 267-279 e passim; MADDALO, I manoscritti Mazzatosta, pp. 47-86; MADDALO, "Quasi preclarissima suppellectile", pp. 16-32; TOSCANO, La miniatura “all’antica”, pp. 248-287: 249, 256-257, 270-271; PASUT, Gioacchino di Giovanni, pp. 265-267; NIUTTA, Il salterio di Gioacchino, pp. 281-288.