Gherardo di Giovanni, c. 1446-1497
Cartolaio, miniatore, pittore fiorentino, egli coordinava insieme al fratello, Monte di Giovanni, un’articolata bottega (Galizzi, Gherardo di Giovanni, pp. 258-262; Id., Monte di Giovanni, pp. 798-801) responsabile di un’ampia produzione libraria soprattutto per una committenza di alto rango, come Lorenzo de’ Medici (1469-1492; cfr. i mss. Plut. 12.1 o Plut. 52.6 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze), Mattia Corvino (1458-1490) e i sovrani aragonesi, mentre ancora sfuggenti sono i rapporti con la corte di Federico da Montefeltro (1444-1482), anche se nuove acquisizioni permettono di avanzare qualche ipotesi (cfr. il ms. Urb. lat. 329; Labriola, I miniatori fiorentini, pp. 62-63; Ead., Scheda nr. 11, p. 186). La grande stagione dell’Umanesimo fiorentino consentì a Gherardo di avere una formazione eclettica e ricca di suggestioni, come quelle, ad esempio, desunte dal suo rapporto con l’entourage di Angelo Poliziano (1454-1494) che «offrirà al miniatore gli strumenti intellettuali per produrre figurazioni raffinate» (Galizzi, Gherardo di Giovanni, p. 259). La carriera dei fratelli di Giovanni iniziò all’ombra della Badia fiorentina, nei primissimi anni ’60 del Quattrocento, per la quale fornirono materiale scrittorio, realizzarono legature e «alcuni interventi di minio su codici liturgici», come testimoniato nei libri di conti della Badia stessa (ibidem, p. 259). Legami fondamentali, tra gli altri, furono quelli con il convento di San Marco e con l’Ospedale di Santa Maria Nuova, per il quale alla metà degli anni ’70 essi eseguirono una serie di corali (ibidem, p. 259).
Significativi furono anche i rapporti con i regnanti dell’epoca: per esempio, la Bibbia in tre volumi destinata al re d’Ungheria Mattia Corvino (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, ms. Plut. 15.17) è una preziosa opera celebrativa del sovrano magiaro. Il linguaggio di Giovanni si nutre di diversi apporti che egli rimescola in maniera originale e ben identificabile, anche se non facilmente distinguibile da quella del fratello: la riflessione di matrice fiamminga, ma anche leonardesca, sul dato atmosferico si coniuga con il repertorio dell’antiquaria padana (ibidem, pp. 259-260); la superficie della pergamena trattata come una lamina metallica, impreziosita di girari «incastonati da gemme e cammei dai contenuti mitologici» (ibidem, pp. 259-260) si sposa con una spiccata cura per il dato fisionomico e di introspezione quasi psicologica dei personaggi rappresentati.
Miniatura fiorentina del Rinascimento, pp. 267-330; GALIZZI, Gherardo di Giovanni, pp. 258-262; LABRIOLA, I miniatori fiorentini, pp. 62-63; LABRIOLA, Scheda nr. 11, pp. 183-188.
Urb. lat. 329, ff. 45v e 64v