Classici Latini Evoluzione e trasmissione di opere classiche [di M. Buonocore]

Vat.lat.1853

Informazioni sul manoscritto

Resource type:
Manuscript
Collection:
Vat.lat.
Segnatura:
Vat.lat.1853
Biblioteca:
Biblioteca Apostolica Vaticana
Datazione:
sec. XV ex
Data inizio:
1476
Data fine:
1500
Paese:
Italia
Regione:
Italia centrale (?)
Materiale:
Membr.
Altezza:
375
Larghezza:
255
Numero fogli:
II. 186. I
Nota generale:
Titus Livius, Ab Urbe condita (Decas IV).
Exhibit Tags:
Livius

Descrizione

Bibliography:
Marucchi, Stemmi di possessori 1964, pp. 30-95; Manuscrits classiques, III.1 pp. 429-430; Vedere i classici, p. 499.
Collazione:
20 fascicoli: 1-19 quinioni (ff. 1-10, 11-20, 21-30, 31-40, 41-49, 50-49, 51-59, 60-69, 70-79, 80-89, 90-99, 100-109, 110-119, 120-129, 130-139, 140-149, 150-159, 160-169, 170-179); 20 ternione (ff. 180-185); i ff. 149-184 sono da riordinare: 149, 170-179, 150-169, 180-184 (cfr. Vedere i classici, p. 499); ff. 184v-185v bianchi ma rigati; il primo e l'ultimo foglio di guardia sono membr., mentre il II è cart.
Impaginazione:
A piena pagina (mm 250x145) di 37/38 ll./rr. con qualche capoverso in vedetta; rigatura a secco ripassata a inchiostro per le righe dello specchio e alla mina per quelle di giustificazione (tipo Derolez 33); spesso visibili i fori per le righe di giustificazione.
Foliazione:
Manuale moderna in cifre arabiche in alto a destra a inchiostro scuro, salto di numerazione tra il f. 45 e il f. 46 (nella scheda si seguirà la foliazione presente sul manoscritto).
Scrittura:
Umanistica
Scrittura - Nota:
Copista unico che lavora anche ai mss. Borgh.368 e al Vat.lat.1848; annotazioni rubricate di Marco Lucido Fazini (cfr. Vedere i classici, p. 499); incipit ed explicit rubricati in capitale; le rubriche a inchiostri alternati sono da assegnare alla mano di Bartolomeo Sanvito (de La Mare - Nuvoloni, Bartolomeo Sanvito, p. 243).
Decorazione - Nota:
1 pagina di incipit (f. 1r) con 1 miniatura tabellare (mm 150x134) e una complessa cornice a candelabra sui quattro lati del foglio, delimitata da listelli in foglia d’oro e con clipei figurati; a bas-de-page stemma di Ludovico Agnelli (m. 1499), entro un clipeo laureato sorretto da due putti alati affiancati da due centauri. 12 iniziali maggiori mantiniane (ff. 1r, 11r, 20v, 37r, 59r, 78r, 95v, 120r, 138r, 146r, 159r, 174v; mm 55x58, media) policrome (giallo, indaco, blu, arancio-ocra, porpora, verde, nero, elementi a biacca), talvolta con corpo in lamina metallica, come alcune delle cornici, e accompagnate da scrittura distintiva e da letterine guida, non sempre visibili.
Legatura -Nota:
Su assi di legno rivestita in marocchino originariamente rosso (come visibile sul piatto posteriore) e decorata con ferri pieni a diversi motivi (geometrico, complesso, iconografico); dorso a 3 nervi, anch’esso decorato a impressioni a ferro pieno; su entrambi i piatti sono visibili gli originari alloggiamenti per le contrograffe; controguardie anteriore e posteriore, primo e ultimo foglio di guardia in pergamena; tagli dorati e impressi; sovraccoperta in cartoncino color carta da zucchero.
Stato di conservazione:
Ottimo, qualche foro di tarlo, sporadici difetti di concia talvolta risarciti a pergamena, squadernato ad apertura e talvolta all’interno; le lamine metalliche dell’iniziale a f. 121r sono ossidate. Legatura piuttosto usurata, il legno risulta molto tarlato e la pelle del piatto anteriore sbiadita rispetto al posteriore.
Segnature di fascicoli:
Generalmente rifilate, ma ben visibili ai ff. 170r-174r, alfanumeriche a colore, in basso a destra, sulla prima parte del fascicolo.
Verba reclamantia:
Costanti sul verso, in verticale entro la doppia riga di giustificazione destra.
Stemma:
f. 1r, Ludovico Agnelli, arciv. di Cosenza, m. 1499.
Altro autore:
Supino Martini, Paola, 1942-2002 [external]
Pellegrin, Elisabeth, 1912-1993 [external]
Marucchi, Adriana, m. 1995 [external]
De la Mare, Albinia Catherine, 1932-2001 [external]
Nuvoloni, Laura [external]
Nota:
Il codice costituisce un corpus liviano con i mss. Borgh.368 e Vat.lat.1848.
Altro nome:
Phosphorus, Lucidus Maffeus, vesc. di Segni, m. 1503 [glossator]
Agnelli, Ludovico, arciv. di Cosenza, m. 1499 [client]
Sanvito, Bartolomeo, 1435-1511 [artist]
Lingua:
Latino.
Alfabeto:
Latino.
Storia:
Ai ff. 1r, 184r timbri della Biblioteca Apostolica Vaticana.

Testo del curatore

Manoscritto di medio formato e confezionato con pergamena di buona qualità ben lavorata, il Vat. lat. 1853 tramanda la Decas IV di Tito Livio; insieme ai mss. Borgh. 368 (Decas I) e Vat. lat. 1848 (Decas III), costituisce l’intero corpus noto dell’Ab Urbe condita. Si tratta di codici particolarmente rilevanti sia per le personalità coinvolte nel loro confezionamento sia perché pongono intriganti questioni sulla produzione del libro miniato a Roma nel secolo XV.

Essi furono copiati da un unico scriptor e, nonostante siano stati concepiti come esemplari di apparato, accolgono nei margini le annotazioni di Marco Lucido Fazini (nel ms. Borgh. 368, fino a f. 63v; assenti nel ms. Vat. lat. 1853, tranne sporadici notabilia); egli fu uno degli intellettuali umanisti che a Roma, dagli anni ’60 del Quattrocento, si raccolsero attorno all’Accademia animata da Pomponio Leto (Piacentini, Note storico-paleografiche 2007, p. 118; Accame, Pomponio Leto, pp. 711-716, l’uno e l’altro con bibliografia). Phosphorus (il soprannome latino assegnatogli proprio nell’ambito dell’Accademia) aveva condiviso con Pomponio, oltre che i molti interessi di studio, anche la prigionia a Castel Sant’Angelo, dove erano stati rinchiusi tra il 1468 e il 1469 perché ritenuti, tra le altre cose, promotori di una congiura contro Paolo II Barbo (1464-1471; Piacentini, Note storico-paleografiche 2007, pp. 93-94; Accame, Pomponio Leto, p. 712).

Ma per tornare ai manoscritti, essi furono confezionati per volontà di Ludovico Agnelli; prelato mantovano e famulus del cardinale Francesco Gonzaga a partire dal settimo decennio del secolo XV, grazie al favore di papa Sisto IV Della Rovere (1471-1484) rivestì diverse cariche all’interno della Curia romana (protonotario apostolico, chierico della Camera Apostolica, governatore del Patrimonium Sancti Petri, legato presso l’imperatore Federico III), impegni che gli permisero comunque di rimanere in strettissimi rapporti con il porporato (Martelli, Bartolomeo della Gatta, p. 240, 244). Un’intesa personale e di affinità politiche che emerge anche dal loro profilo culturale: l’uno e l’altro furono infatti collezionisti di codici, manufatti spesso realizzati dai medesimi artefici del libro che gravitavano – o che erano formalmente inclusi – nella familia del cardinale mantovano, come Bartolomeo Sanvito (cfr. il suo intervento di calligrafo nel ms. Borgh. 368), in sodalizio artistico con Gaspare da Padova (cfr. il caso del ms. Vat. lat. 3255; non è escluso, ad esempio, che Ludovico Agnelli possa aver giocato un qualche ruolo nell’allestimento del monumentale Omero bilingue, ms. Vat. gr. 1626, appartenuto appunto a Gonzaga, cfr. Martelli, Bartolomeo della Gatta, p. 246, con bibliografia).

Nei manoscritti vaticani e borghesiano l’appartenenza al protonotario apostolico è segnalata dal suo stemma nelle pagine di incipit (inquartato al I e al IV di blu con agnello rampante d’argento, al II e al III tagliato d’oro, rosso e argento, con tre stelle d’oro nel taglio centrale, sormontato dal cappello a sei fiocchi per parte, Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 242; tranne che per il ms. Vat. lat. 1848, sostituito da quello di papa Giulio II [1503-1513]), elemento che suggerisce a Cecilia Martelli di collocare la confezione dei tre manoscritti in una data di poco successiva al 1472 – forse alla metà del decennio –, anno dal quale Agnelli ottenne appunto la carica di protonotario (Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 247). Il corpus testimonia comunque la volontà del prelato di avere nella sua biblioteca l’intera opera liviana (per la sua collezione cfr., tra gli altri, il ms. Vat. lat. 1533, che condivide in parte il miniatore con il ms. Vat. lat. 1853 [Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 242]; il ms. Vat. lat. 1835, entrato poi anch’esso nella collezione di Giulio II; il ms. King’s 24 della British Library di Londra; il ms. 139 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli).

Seppure indubbiamente confezionati in un medesimo lasso di tempo, all’omogeneità del formato e dell’impostazione grafica dei tre esemplari dell’Ab Urbe condita non corrisponde un’analoga uniformità negli apparati illustrativi ed esornativi. Il corredo iconografico dei codici fu infatti assegnato ad almeno tre maestri diversi (e si dovrebbe riflettere anche sulle gallerie di iniziali decorate), che quindi impiegarono linguaggi diversi (anche se, ad esempio, nei frontespizi dei mss. Vat. lat. 1848 e Vat. lat. 1853 si può riconoscere un analogo modo di organizzare lo spazio della pagina, Martelli, Bartolomeo della Gatta, p. 242). Una peculiarità che, come si accennava in apertura, suggerisce interessanti considerazioni sulla produzione del libro miniato a Roma nel Quattrocento. È stato infatti proposto che la realizzazione della serie liviana di Agnelli sia avvenuta all’interno di uno scriptorium (Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 242): un’ipotesi certo da condividere se tuttavia con questo termine si vuole intendere non necessariamente un luogo fisico, ma piuttosto un medesimo ambiente culturale nel quale era possibile, per le personalità al lavoro, scambiare suggestioni visive, favorire contaminazioni formali, far circolare modelli. La scelta di affidare la commissione a tre miniatori, che forse svolsero la loro attività in contemporanea sui tre esemplari, può essere inoltre collegata alla necessità per Agnelli di avere l’opera completa di Livio in tempi relativamente rapidi.

La pagina di incipit del Vat. lat. 1853 è stata ricondotta alla mano di un miniatore «attivo a Roma ma di formazione fiorentina, che risente dei modi di Benozzo Gozzoli» (Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 251). Accanto all’aura toscana vi è però un’altra matrice linguistica piuttosto evidente: l’antiquaria padana declinata secondo l’accento, appunto, romano. Il frontespizio è infatti un tripudio di candelabre intercalate da clipei istoriati e animate da genietti reggifestone, putti giocosi, un variegato bestiario; l’impiego di una tavolozza pittorica molto vivace e dai colori decisi, in netto contrasto con il nitore degli incarnati – soprattutto di quello dei putti, che quasi simulano elementi della statuaria antica –, suggerisce che il miniatore possa essere entrato in contatto con i modi di Gaspare da Padova (per il quale cfr. la produzione coeva, come ad esempio i mss. Vat. lat. 2094 o di nuovo il Vat. gr. 1626, e il lat. 5814 della Bibliothèque nationale de France di Parigi; si tenga inoltre presente, come già accennato sopra, il sodalizio artistico che legò questi a Bartolomeo Sanvito, calligrafo nel ms. Borgh. 368). L’espediente del rigatino color porpora, che rende omogeneo il fondo sul quale spiccano i motivi a candelabra, sembra essere direttamente desunto, seppure impiegato in maniera differente, dalla peculiare ombreggiatura che spesso connota i frontespizi architettonici nei codici decorati da Gaspare (e più in generale dagli artisti che diffusero il gusto antiquario nel libro miniato romano).

Pur nella sostanziale armonia, nel foglio di apertura si possono notare piccole difformità, indizi dell’attività di collaborazione fra artisti, alla quale si è già accennato: Cecilia Martelli ha infatti osservato che la figura di Ercole nel margine esterno potrebbe essere attribuita, per il modo di «segnare il chiaroscuro sull’incarnato attraverso un finissimo tratteggio», a Bartolomeo della Gatta miniatore che esegue la pagina di incipit del ms. Vat. lat. 1848 (Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 252; cfr. per altro l’Alessandro Magno, ugualmente di Bartolomeo, nel ms. Urb. lat. 427). In questa sede si propone di estendere tale suggerimento anche alla testa nel margine superiore e al genietto reggifestone in alto, nel margine interno.

La collezione libraria di Ludovico Agnelli fu verosimilmente smembrata poco dopo la sua morte, avvenuta per avvelenamento nel 1499 forse per volontà di Alessandro VI Borgia (1492-1503); i suoi manoscritti ebbero sorti diverse: il Vat. lat. 1853 è registrato nell’inventario del 1533 (ms. Vat. lat. 3951) tra i codici additi (aggiunti) nella camera parva secreta: «Titus Livius de bello Punico, ex membranis in tabulis. consulem» (il termine si riferisce «all’ultima parola vergata sul recto del primo foglio», Ead., Bartolomeo della Gatta, pp. 246-247; per gli inventari cfr. Librorum Latinorum Bibliothecae Vaticanae, nr. 2772, p. 319; per la storia della Biblioteca cfr. da ultimi Manfredi, La nascita della Vaticana, pp. 217-236 e Rita, Per la storia della Vaticana, pp. 237-277).

Per gli altri esemplari di Livio illustrato cfr. i mss. Borgh. 368, Ferr. 562, Urb. lat. 423, Urb. lat. 424, Urb. lat. 425, Urb. lat. 426, Vat. lat. 1848.

Bibliografia generale

Descrizioni interne

1r-184r

Livius, Titus, Ab urbe condita

Locus:
1r-184r
Autore:
Livius, Titus, 59 a.C.-17 d.C. [internal]
Altro autore:
Heraeus, Wilhelm, 1862-1938 [external]
Müller, Moritz [external]
Maier, Anneliese, 1905-1971 [external]
Titolo:
Ab urbe condita
Titolo uniforme:
Ab Urbe condita (Livius, Titus, 59 a.C.-17 d.C.). 31-40
Sommario:
Lib. XXXI-XXXII, XXXIV-XL.
Nota:
Lib. XL des. cap. 37 verbis: «per omnia fora conciliabulaque edixerunt». Folio 1r addito eodem stemmate episcopali, quod habetur in cod. Borgh. 368; cf. Maier, Cat. codd. Burgh., p. 422.
Lingua:
Latino.
Alfabeto:
Latino.
Fonte:
IAM93