Borgh.368
Informazioni sul manoscritto
- Resource type:
- Manuscript
- Collection:
- Borgh.
- Segnatura:
- Borgh.368
- Biblioteca:
- Biblioteca Apostolica Vaticana
- Datazione:
- sec. XV ex
- Data inizio:
- 1476
- Data fine:
- 1500
- Paese:
- Italia
- Regione:
- Italia centrale
- Localita:
- Roma (?)
- Materiale:
- membr.
- Altezza:
- 370 mm
- Larghezza:
- 255 mm
- Numero fogli:
- 232. I
- Nota generale:
- Titus Livius, Ab Urbe condita (Decas I).
Descrizione
- Bibliography:
- Marucchi, Stemmi di possessori 1964, p. 30-95; Manuscrits classiques, I p. 226-227; Vedere i classici, pp. 494-495.
- Collazione:
- 24 fascicoli: 1-23 quinioni (ff. 1-10, 11-20, 21-30, 31-40, 41-50, 51-60, 61-70, 71-80, 81-88 [-2], 89-98, 99-108, 109-118, 119-128, 129-138, 139-148, 149-158, 159-168, 169-178, 179-188, 189-198, 199-208, 209-218, 219-228); 24 ternione (ff. 229-232 [-2]); il fascicolo 9 è deperdito del bifoglio centrale (cf. Vedere i classici, p. 494); i ff. 229-230 del fascicolo 24 sono privi dei rispettivi solidali, probabilmente non necessari ai fini della copiatura del testo.
- Impaginazione:
- A piena pagina (mm 255x145) su 37/38 ll./rr., talora con giustificazione in vedetta; rigatura a secco talvolta ripassata alla mina leggerissima o a colore (tipo Derolez 31).
- Foliazione:
- Meccanica moderna, in basso a destra.
- Scrittura:
- Umanistica del tipo minuscola.
- Scrittura - Nota:
- Unica mano a inchiostro bruno scuro; note a margine di una mano in umanistica corsiva a inchiostro ocra chiaro, forse di Marco Lucido Fazini detto Fosforo (Vedere i classici, p. 495); le rubriche a inchiostri alternati sono da assegnare alla mano di Bartolomeo Sanvito (de La Mare - Nuvoloni, Bartolomeo Sanvito, p. 243).
- Decorazione - Nota:
- Una pagina di incipit (f. 1r), sui quattro margini cornice a bianchi girari abitati e su fondo policromo (blu, rosso, verde), percorsi da doppio listello in oro con nodi, clipei e cantoni figurati; a bas-de-page, entro doppio clipeo nastriforme, stemma di Ludovico Agnelli (1497-1499), affiancato da Cupido e Venere e da una coppia di puttini alati; 1 miniatura tabellare entro una cornice laureata in verde e porpora a doppio listello in lamina metallica (mm 127x148). 9 iniziali maggiori (ff. 1r, 2r, 28r, 56r, 110r, 133r, 152r, 170v, 189r e 211v; mm 62x61, media), entro spazio riservato profilato in oro, con corpo in lamina metallica o di tipo mantiniano (porpora, giallo-ocra, verde), su campo in foglia d’oro (talora punzonata) o a colore (nero, porpora, blu) con elementi in biacca e con decorazioni fitomorfe (blu, verde, viola); incipit ed explicit in ocra o in rosso e in capitale epigrafica; talora visibili le letterine di attesa (f. 152r).
- Legatura -Nota:
- Su quadranti in cartone, ricoperta in marocchino rossiccio e con articolate impressioni in oro (cornici a singolo e doppio filetto, ferri a motivo, complessi), con stemma del card. Scipione Caffarelli Borghese (1605-1633 e card. bibliotecario 1609-1618); dorso a 5 nervi, nei tasselli impresse in oro le insegne araldiche del card. bibliotecario; sulla controguardia anteriore, incollato l’ex libris stampato su carta: «Ex libris M. A. Principi Burghesii»; protetta da una sovraccoperta di cartoncino grigio-blu.
- Stato di conservazione:
- Discreto, fascicoli con scarsa adesione alla legatura, con numerosi fori di tarlo; specialmente nei primi fogli, la pergamena è molto usurata, soprattutto nella pagina di incipit, e ha talvolta perso di planarità; numerose macchie dovute a diversi agenti (umidità, attacchi biologici ecc.), strappi, piccoli risarcimenti a pergamena e a rammendo (oggi privi del filo); il mordente della foglia d’oro è talora trapelato sul lato opposto del foglio, mentre la lamina metallica ha in qualche caso lasciato un alone scuro sul foglio affrontato.
- Segnature di fascicoli:
- Alfanumeriche a colore sul recto in basso a destra, sulla prima parte del fascicolo, raramente visibili (es. f. 54), più spesso rifilate.
- Verba reclamantia:
- Costanti sul verso, verticali entro doppia giustificazione, tranne al f. 30v, orizzontale e al centro.
- Stemma:
- f. 1r, dell'arcivescovo Ludovico Agnelli (1497-1499), sormontato dal cappello vescovile, inquartato al I e al IV di blu con agnello rampante d’argento, al II e III tagliato d’oro, rosso e argento, con tre stelle d’oro nel taglio centrale.
- Sommario:
- Libri I-X.
- Incipit testo:
- FACTVRVSne sim operae pretium.
- Explicit testo:
- aesculapio supplicatio habita est.
- Nota:
- Livii Patavini aliqua opera ad transcribenda digesta ac parata, librarius unus in tribus codicibus nunc Vaticanis exaravit, id est codices Borgh. 368, Vat. lat. 1848, Vat. lat. 1853 (Manuscrits classiques, I p. 227). Lib. III, c. XLIX des. mut.: «patres habere solita erat»; lib. IV, c. II inc. mut.: «[Veien]tes depopulatos extrema agri Romani». Folio 1r addito eodem stemmate episcopali, quod habetur in cod. Vat. lat. 1853, f. 1r; cf. B. Nogara, Cat. Vat. lat. 1461-2059, p. 300.
- Altro nome:
- Phosphorus, Lucidus Maffeus, vesc. di Segni, m. 1503 [glossator]
Agnelli, Ludovico, arciv. di Cosenza, m. 1499 [client]
Borghese, Scipione, card., 1576-1633 [owner]
Sanvito, Bartolomeo, 1435-1511 [artist] - Lingua:
- Latino.
- Alfabeto:
- Latino.
- Storia:
- Al f. 112v, timbro della Biblioteca Vaticana.
Informazioni amministrative
- Fonte:
- IAM93; A. Maier, Codices burghesiani Bibliothecae Vaticanae, Città del Vaticano, 1952, p. 422.
Testo del curatore
Manoscritto di medio formato e confezionato con pergamena di buona qualità ben lavorata, il Borg. 368 tramanda la Decas I di Tito Livio; insieme ai mss. Vat. lat. 1848 (Decas III) e Vat. lat. 1853 (Decas IV), costituisce l’intero corpus noto dell’Ab Urbe condita. Si tratta di codici particolarmente rilevanti sia per le personalità coinvolte nel loro confezionamento sia perché pongono intriganti questioni sulla produzione del libro miniato a Roma nel secolo XV.
Essi furono copiati da un unico scriptor e, nonostante siano stati concepiti come esemplari di apparato, accolgono nei margini le annotazioni di Marco Lucido Fazini (nel Borgh. 368, fino a f. 63v; assenti nel Vat. lat. 1853, tranne sporadici notabilia); egli fu uno degli intellettuali umanisti che a Roma, dagli anni ’60 del Quattrocento, si raccolsero attorno all’Accademia animata da Pomponio Leto (Piacentini, Note storico-paleografiche 2007, p. 118; Accame, Pomponio Leto, pp. 711-716, l’uno e l’altro con bibliografia). Phosphorus (il soprannome latino assegnatogli proprio nell’ambito dell’Accademia) aveva condiviso con Pomponio, oltre che i molti interessi di studio, anche la prigionia a Castel Sant’Angelo, dove erano stati rinchiusi tra il 1468 e il 1469 perché ritenuti, tra le altre cose, promotori di una congiura contro Paolo II Barbo (1464-1471; Piacentini, Note storico-paleografiche 2007, pp. 93-94; Accame, Pomponio Leto, p. 712).
Ma per tornare ai manoscritti, le rubriche a inchiostri alternati in colori diversi del Borgh. 368 sono state invece assegnate alla mano di Bartolomeo Sanvito: Albinia de la Mare e Laura Nuvoloni collocano il suo lavoro ai primissimi anni ’80 del secolo (per una diversa ipotesi sulla cronologia, cfr. infra), quando il calligrafo e miniatore padovano era di nuovo a Roma al servizio del cardinale Francesco Gonzaga (1461-1483), circostanza che tuttavia non gli impedì di prestare la sua opera anche per altri committenti, come ad esempio Ludovico Agnelli (de la Mare - Nuvoloni, Bartolomeo Sanvito, p. 243; cfr. anche Maddalo, Sanvito e Petrarca, passim). Ed è proprio alla volontà di questi che bisogna far risalire il confezionamento dei tre codici liviani. Agnelli, prelato mantovano e famulus di Gonzaga a partire dal settimo decennio del Quattrocento, grazie al favore di papa Sisto IV Della Rovere (1471-1484) rivestì diverse cariche all’interno della Curia romana (protonotario apostolico, chierico della Camera Apostolica, governatore del Patrimonium Sancti Petri, legato presso l’imperatore Federico III), impegni che gli permisero comunque di rimanere in strettissimi rapporti con il cardinale (Martelli, Bartolomeo della Gatta, p. 240, 244). Un’intesa personale e di affinità politiche che emerge anche dal loro profilo culturale: l’uno e l’altro furono infatti collezionisti di manoscritti, manufatti spesso realizzati dai medesimi artefici del libro che gravitavano – o che erano formalmente inclusi – nella familia del porporato mantovano, proprio come Bartolomeo Sanvito, in sodalizio artistico con Gaspare da Padova (per quest’ultimo aspetto cfr. ms. Vat. lat. 3255; non è escluso, ad esempio, che Ludovico Agnelli possa aver giocato un qualche ruolo nell’allestimento del monumentale Omero bilingue, ms. Vat. gr. 1626, appartenuto appunto a Gonzaga, cfr. Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 246, con bibliografia).
Nei manoscritti vaticani e borghesiano l’appartenenza al protonotario apostolico è segnalata dal suo stemma nelle pagine di incipit (inquartato al I e al IV di blu con agnello rampante d’argento, al II e al III tagliato d’oro, rosso e argento, con tre stelle d’oro nel taglio centrale, sormontato dal cappello a sei fiocchi per parte, Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 242; tranne che per il ms. Vat. lat. 1848, dove il blasone è stato sostituito da quello di papa Giulio II [1503-1513]), elemento che suggerisce a Cecilia Martelli di collocare la confezione dei tre codici in una data di poco successiva al 1472, anno nel quale Agnelli ottenne la carica (Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 247). Il corpus testimonia comunque la volontà del prelato di avere nella sua biblioteca l’intera opera nota liviana (per la sua collezione cfr., tra gli altri, il ms. Vat. lat. 1533, che condivide in parte il miniatore con il ms. Vat. lat. 1853 [Ead., Bartolomeo della Gatta, p. 242]; il ms. Vat. lat. 1835, entrato poi anch’esso nella raccolta di Giulio II; il ms. King’s 24 della British Library di Londra; il ms. 139 della Biblioteca Guarneriana di San Daniele del Friuli).
Seppure indubbiamente confezionati in un medesimo lasso di tempo, all’omogeneità del formato e dell’impostazione grafica dei tre esemplari dell’Ab Urbe condita non corrisponde un’analoga uniformità negli apparati illustrativi ed esornativi. Il corredo iconografico dei codici fu infatti assegnato ad almeno tre diversi maestri, che impiegarono linguaggi diversi (e forse si dovrebbe riservare un’ulteriore riflessione alle gallerie di iniziali decorate presenti nei tre libri). Una peculiarità che, come si accennava in apertura, suggerisce interessanti considerazioni sulla produzione del libro miniato a Roma nel Quattrocento. È stato infatti proposto che la realizzazione della serie liviana di Agnelli sia avvenuta all’interno di uno scriptorium (Martelli, Bartolomeo della Gatta, p. 242): un’ipotesi certo da condividere se tuttavia con questo termine si vuole intendere non necessariamente un luogo fisico, ma piuttosto un medesimo ambiente culturale all’interno del quale era possibile, per le personalità al lavoro, scambiare suggestioni visive, favorire contaminazioni formali, far circolare modelli. La scelta di affidare la commissione a tre miniatori, che forse svolsero la loro attività in contemporanea sui tre esemplari, può essere inoltre collegata alla necessità per Agnelli di avere l’opera completa di Livio in tempi relativamente rapidi.
Nello specifico, infine, il ms. Borgh. 368 mostra ad apertura una pagina di incipit decorata da una enfatica cornice a bianchi girari abitati, intercalata di nodi, di medaglioni istoriati, di cantoni contenenti una sorta di bestiario; tutti stilemi che ricordano, nell’intonazione e nelle scelte esornative, un certo gusto padano-ferrarese declinato tuttavia secondo le più aggiornate esperienze romane del minio quattrocentesco (si pensi, solo per proporre qualche esempio, alle pagine di Jacopo da Fabriano, ms. Vat. lat. 2051; di Andrea da Firenze, ms. Vat. lat. 2060; di Michele Carara, ms. Vat. lat. 1851; cfr. Ruysschaert, Miniaturistes “romains”, pp. 245-282; Maddalo, "Quasi preclarissima suppellectile", pp. 16-32; Ead., Ancora sul libro miniato, pp. 68-78). In tal senso, qualche tangenza – ma non più di qualche tangenza – è stata ravvisata con i lavori di Giuliano Amadei (De Marchi, Identità di Giuliano Amadei, pp. 119-158), e in special modo con il ms. Plut. 63. 1 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, realizzato per Sozino Benzi archiatra di Pio II (1458-1464), nella scena dell’Allattamento di Romolo e Remo (Martelli, Bartolomeo della Gatta, pp. 242, 298 nt. 53; per questo miniatore, cfr. tra gli altri il ms. Borgh. 366).
Lo stretto rapporto con l’antico, che è sia recupero culturale e ideologico sia sorgente di modelli formali, è immediatamente individuabile nel clipeo al centro del margine interno che mostra il ritratto di Livio di profilo (che non può non richiamare alla mente la monetazione della Roma classica); una lettura che vale anche per il tondo istoriato nel margine superiore e nella coppia a bas-de-page, che propone il tema di Amore bendato che scocca la sua freccia verso una Venere pudica (per il tema di Eros cfr. anche il ms. Vat. lat. 1848).
La collezione libraria di Ludovico Agnelli fu verosimilmente smembrata poco dopo la sua morte, avvenuta per avvelenamento nel 1499 forse per volontà di Alessandro VI Borgia (1492-1503); i suoi manoscritti ebbero sorti diverse: il Borgh. 368 giunse in Biblioteca Vaticana insieme alla raccolta di Camillo Borghese (poi Paolo V [1605-1621]; Martelli, Bartolomeo della Gatta, p. 246), del quale si può notare l’ex libris cartaceo sulla controguardia anteriore del codice.
Per gli altri esemplari di Livio illustrato cfr. i mss. Ferr. 562, Urb. lat. 423, Urb. lat. 424, Urb. lat. 425, Urb. lat. 426, Vat. lat. 1848, Vat. lat. 1853.