inquartato, nel I e nel IV d’oro all’aquila di nero coronata del campo, nel II e nel III bandato d’azzurro e d’oro all’aquila di nero sulla prima banda d’oro
Lo stemma bandato posto nel II e III quarto è quello originario della famiglia, al quale fu aggiunta la piccola aquila sulla prima banda d’oro come indicazione dell’appartenenza allo schieramento ghibellino di cui i Montefeltro furono esponenti. L’aquila in campo d’oro che appare nel I e nel IV quarto – presente anche in uno stemma autonomo d’oro all’aquila di nero (cfr. ad esempio le pagine di incipit degli Urb. lat. 304, 425, 717, 745, 1139) – è di significato controverso: secondo alcuni è l’antico stemma della città di Urbino, che, anticamente retta dal vescovo-conte, avrebbe scelto come espressione simbolica della comunità l’emblema dell’Impero e della fazione ghibellina (cfr. Lombardi, I simboli, pp. 135-136; Cappellini, Araldica Feretrana, p. 80; Caldari, Emblemi, imprese, onorificenze, p. 102; Fenucci, Notes, p. 81); secondo altri sarebbe un secondo stemma della casata, già usato da Oddantonio (1427-1444) nel sigillo di una lettera del 1442 e, ancor prima, da Antonio da Montefeltro (1348-1404) nel sigillo di una lettera del 1403 e poi nel suo sepolcro (cfr. Conti, Il sigillo, p. 340; Id., L’araldica nei sigilli di Oddantonio, pp. 435-437).
Secondo la prima interpretazione, si deve a Federico l’inquartamento dello stemma: egli, figlio naturale del conte Guidantonio e legittimato due anni dopo la nascita, salì al potere in seguito alla morte violenta del fratellasto Oddantonio (m. 1444) alla quale non sarebbe stato estraneo. In tal modo egli avrebbe voluto così rappresentare simbolicamente la legittimazione della propria successione, derivata da un’antica investitura imperiale, ma anche fondata sul consenso popolare dei cittadini urbinati.
Urb. lat. 410, f. 1r - Urb. lat. 419, f. 1r
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Come lo stemma bandato, anche quello inquartato è spesso affiancato dalle lettere FC (per Federicus Comes), come ad esempio nell’Urb. lat. 651, f. 3r, o nell’Urb. lat. 350, ff. 2v e 46v; ma già Adriana Marucchi censiva lo stesso stemma anche nell’Urb. lat. 642, registrando sulle due bande azzurre accostate alla centrale le lettere OA, per Oddantonio (1427-1444), conte e poi duca (1443) di Urbino (cfr. Marucchi, Stemmi di possessori, p. 75 nr. 97 e tav. IV,2; pp. 76-77 nr. 101 e tav. XII,1). Più recentemente Antonio Conti ha rilevato altre testimonianze dell’uso dello stemma inquartato in alcuni sigilli presenti in due lettere di Oddantonio datate o databili al 1443 (cfr. Conti, L’araldica nei sigilli di Oddantonio, pp. 439-452, in particolare pp. 431-432 e ntt. 9-10 e pp. 434-435 e nt. 20). L’arma inquartata non risalirebbe dunque all’assunzione del potere da parte di Federico e quindi alla circostanza dei patti stretti con la città di Urbino nel luglio 1444, ma sarebbe stata già usata precedentemente (cfr. Conti, Osservazioni araldiche, p. 66 e nt. 11; Id., Il sigillo, p. 339). È da rilevare che essa continuò ad essere utilizzata anche dopo l’acquisizione della dignità ducale e del conseguente incremento dello stemma con il palo della Chiesa: nei manoscritti si può trovare sia accanto agli altri due stemmi (cfr. stemma bandato, stemma ducale), in una sorta di autocelebrazione della casata, sia da solo, in codici certamente realizzati per Federico duca, come gli Urb. lat. 713 e 732, nelle cui rubriche iniziali il signore di Urbino è citato con il nuovo titolo (Urb. lat. 732, f. 1r: «Magnanimo ac excelso principi et armorum imperatori clarissimo d[omino] Federico Monfeltrio Urbini duci praestantissimo»).
In generale, è stato messo in rilievo l’uso secolare dell’aquila come animale totemico della casata (Conti, L’araldica nei sigilli di Oddantonio, pp. 439-452; Id., L’araldica nei sigilli della famiglia, pp. 163-172); è anche spesso stato rilevato come l’aquila sia insieme espressione allegorica ma anche fisiognomica di Federico. Essa richiama emblematicamente un suo tratto distintivo, il suo profilo aquilino appunto, ancora più marcato dopo il colpo di lancia che nel 1451 durante un torneo lo privò dell’occhio destro e lo portò a farsi resecare l’attaccatura del naso, rendendolo ancora più simile al rostro d’aquila (cfr. Il ritratto di Federico). Tra i molteplici simboli adottati da Federico, l’aquila, emblema della potenza politica e militare raggiunta, diviene in tal modo una sorta di segno personale disseminato negli ambienti del Palazzo Ducale (Rotondi, Il palazzo ducale, I, pp. 168-175 e 395-399; II, figg. 57-83 e 452-457) e nei codici, dove è spesso raffigurata a sostenere lo stemma feltresco (ad esempio negli Urb. lat. 52, f. 2r, Urb. lat. 324, f. 87r, Urb. lat. 419, f. 1r), a volte anche coronata (come nell’Urb. lat. 491, f. [II]v o nell’Urb. lat. 264, f. 1r).
Urb. lat. 52, f. 2r - Urb. lat. 491, f. 1r
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Si rileva infine che all’interno dei manoscritti si possono talvolta individuare delle varianti, o piuttosto degli errori, nella realizzazione dello stemma: ad esempio, nell’Urb. lat. 350, al f. 2v, nel II e III la prima banda d’oro non è caricata dell’aquila, mentre lo è nello stemma al f. 46v; nell’Urb. lat. 52, ai ff. 1v e 2r, nel I e IV l’aquila non è coronata; ugualmente, al f. 1r dell’Urb. lat. 9 nel II e III la prima banda d’oro non è caricata dell’aquila e nel I e IV l’aquila in campo d’oro non è coronata; nell’Urb. lat. 420, nei tre stemmi presenti al f. 1r, uno bandato e due inquartati, l’ordine delle bande è invertito (oro-azzurro e non azzurro-oro) rispetto allo stemma corretto, con conseguente variazione della posizione dell’aquila, caricata sulla prima o sulla seconda banda d’oro, e addirittura due volte nello scudo bandato.
Urb. lat. 9, f. 1r - Urb. lat. 420, f. 1r
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