LE LEGATURE
Nella biblioteca di Federico la veste lussuosa tipica dei manoscritti a lui appartenuti appariva nella sua evidenza prima ancora che i volumi venissero aperti, trovando espressione anche nella componente più esterna dei singoli codici: la legatura. Anch’essa è parte del progetto politico-culturale che impronta la biblioteca federiciana, rendendola sfarzosa manifestazione del potere detenuto dal duca. Come la biblioteca, anche il singolo volume, perfino chiuso, ha un valore paradigmatico esaltato dalla preziosità della legatura nella sua essenza di libro-oggetto.
La rappresentazione dei volumi non è infrequente nell’apparato decorativo del Palazzo. È stato notato come il libro sia tra gli elementi emblematici con cui il duca viene raffigurato nel Ritratto di Federico da Montefeltro e del figlio Guidobaldo, detto “Doppio ritratto”, di discussa attribuzione (a Pedro Berruguete o Giusto di Gand), databile agli anni 1476-1477, un tempo verosimilmente collocato nello Studiolo o nella biblioteca (cfr. Marchi, Pedro Berruguete, Federico da Montefeltro con il figlio Guidubaldo, pp. 120-121). Federico, signore della guerra e principe saggio dedito alla cultura, è raffigurato assorto nella lettura di un volume manoscritto dalla ricca legatura, accanto ai simboli del potere politico-militare: il trono su cui è assiso, l’armatura che lo cinge, la pelliccia e il collare dell’Ermellino – che insieme alla giarrettiera posta sotto il ginocchio ricordano le onorificenze di cui fu insignito –, la spada legata alla vita e l’elmo posato a terra. Il valore del volume è certamente simbolico; suggestiva è l’ipotesi che lo ha voluto identificare con il codice latore dei Moralia di Gregorio Magno, attualmente segnato Urb. lat. 96, partendo dalle descrizioni della legatura con esso compatibili offerte dall’Indice vecchio e sulla base delle dimensioni del volume (Simonetta, Double Portrait of Federico da Montefeltro, pp. 102-109, in particolare p. 106; cfr. Urb. lat. 1761, f. 7r: «Codex ornatissimus coopertus serico rubro et cornibus et seraturis argenteis», edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. LXVI, nr. 59).
Urb. lat. 96, ff. 1v-2r - Urb. lat. 1761, f. 7r
Giovanni Santi (c. 1440-1494), padre di Raffaello, nel suo poema La vita e le gesta di Federico di Montefeltro duca di Urbino, da cui emerge una buona conoscenza della biblioteca urbinate, definita «colegio sacro e sancto», descrive le opere contenute in quella collezione «coperte e ornate di mirabil manto» e di ornamenti tali che iperbolicamente afferma di non essere in grado di descrivere («gli ornamenti dei quali [libri] io non potrei / scriver in parte, non che intieramente», Santi, La vita e le gesta di Federico di Montefeltro, II, pp. 420-421).
Anche Baldassarre Castiglione (1478-1529) nel suo Cortegiano, celebrando i fasti culturali della corte urbinate, loda il signore di Urbino e la sua biblioteca, dove «con grandissima spesa adunò una nobile e grande suppellettile de libri greci, latini et ebraici, li quali tutti ornò d’oro et argento, estimando che questa fosse la supprema excellenzia del suo magno palagio» (La seconda redazione del "Cortegiano" di Baldassarre Castiglione, p. 6; cfr. anche Urb. lat. 1767, f. 13v, sec. XVII).
Oggi purtroppo i manoscritti urbinati possiedono solo in minima parte le legature originali federiciane, per lo più andate perdute, ed è possibile intravedere parte di quella magnificenza solo tramite le notizie offerte da fonti catalografiche – come il prezioso Indice vecchio – o letterarie (sull’uso degli inventari per lo studio delle legature perdute cfr. Federici, Inventari e documenti, pp. 147-163).
Tra queste ultime riveste un ruolo di rilievo Vespasiano da Bisticci, che nelle sue Vite fa ampio riferimento alla ricchezza delle legature, citando non solo i metalli preziosi che potevano ornarle, ma anche tessuti e colori; si sofferma inoltre sul valore biblioteconomico della legatura stessa, che avrebbe avuto un ruolo distintivo per individuare i vari «capi», ovvero le varie sezioni in cui la biblioteca si articolava:
La Bibia [Urb. lat. 1-2], libro excellentissimo, hallo facto in dua volumi istoriati, tanto ricco et degno quanto dire si potessi, coperto di brocato d’oro, fornita d’ariento ricchissimamente, et questa ha facta così rica, come capo di tutti gli scritori […]. Avendo condutta la sua Signoria questa opera [la biblioteca] sì degna con grandissima ispesa di più di ducati trenta mila, et in fra l’altre degne et laudabile condizioni che v’ha fatte, sì è ch’egli ha voluto a ogni scrittore dare un capo, et questo ha voluto che sia coperto di chermisì fornito d’ariento. Et cominciossi, come inanzi è detto, alla Bibia, come capo di tutte, et fella, come è detto, coprire di brocato d’oro. Di poi cominciando a tutti e’ dottori della Chiesa, ha ognuno coperto di chermesì e fornito d’ariento, et così a’ dottori greci come latini, così a’ filosofi, alle istorie, a’ libri di medicina, a tutti e’ dottori moderni, in modo che v’è infiniti volumi di questa natura, che è una rica cosa a vedergli (Vespasiano da Bisticci, Le Vite, I, pp. 390, 398).
Urb. lat. 1, ff. 1v-2r
Urb. lat. 2, ff. 1v-2r
Le legature più preziose, caratterizzate da serrature in argento, cantonali e borchie, avevano dunque anche la funzione di distinguere il primo libro che apriva la sequenza di opere di un autore ritenuto rilevante ed erano dunque utili per il reperimento dei volumi, che sotto Federico non avevano segnatura (cfr. De Marinis, La legatura artistica, pp. 79-84; Peruzzi, La formazione della biblioteca, pp. 33-34; Ead., «Lectissima politissimaque volumina», p. 352).
L’Indice vecchio offre un riscontro a quanto detto da Vespasiano: esso presenta sempre una sintetica descrizione della legatura, spesso solo in riferimento al colore della pelle (rubro, purpureo, viridi, croceo, nigro, albo, azurro), e fornisce ulteriori particolari solo nel caso di legature più ricche, come quella della Bibbia Urbinate [Urb. lat. 1-2], purtroppo non giunta fino a noi, «Aureo serico cooperta [sic] et cornibus et seraturis argenteis ornata» (Urb. lat. 1761, f. 1r). Ė infatti chiaro che, andando oltre l’enfasi celebrativa delle fonti, non tutti i volumi fossero ornati d’oro e d’argento.
Riguardo alle coperte dei manoscritti, già De Marinis aveva rilevato che «i colori di oggi non sempre corrispondono a quelli indicati nell’Indice vecchio. Per alcune la spiegazione è facile: effetto dello scolorimento della concia data a pelli in origine color marrone; raramente il verde ha resistito, e può essere riconosciuto soltanto nei lembi ripiegati all’interno dei piatti, sotto le risguardie che le difesero dalla luce. Per altre la discrepanza fa sorgere il dubbio che quei volumi siano stati rilegati a nuovo al tempo di Guidubaldo, per ragioni che ci sfuggono. Lo splendido Campano (nostro elenco n. 951B [Urb. lat. 326]), ad esempio, l’Indice vecchio lo dice, assai semplicemente, «in rubro» , mentre è «in marocchino castano, con ricca decorazione dorata e con lo stemma ducale dei Montefeltro miniato in una formella rotonda al centro dei piatti» (De Marinis, La legatura artistica, p. 83).
Dei 656 codici latini descritti nell’Indice vecchio, una settantina circa figurano rilegati in tessuto (ma quattro soli greci e nessuno ebraico): in seta, broccato d’oro e d’argento, velluto, forniti di cantonali e fermagli in argento (cfr. Urb. lat. 18, descritto nell’Indice vecchio al f. 1v dell’Urb. lat. 1761, edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. LX, nr. 16: «opertum serico viridi et munitum cornibus et seraturis argenteis»; oggi dalla coperta in seta verde sono scomparsi i finimenti in metallo prezioso e i tenoni dei fermagli), le cui bindelle sono alcune volte in tessuti preziosi esse stesse (cfr. Urb. lat. 326 e 328).
Urb. lat. 18
La maggior parte delle legature è tuttavia in pelle (Adorisio - Federici, Per una storia della biblioteca dei Duchi d’Urbino, p. 9 e Aspetti tipologici delle legature feltresche, p. 53; Quilici, Legature di corte italiane, pp. 252-253; Macchi - Macchi, Atlante della legatura italiana, p. 240); l’Indice non dà informazioni sulla decorazione delle coperte, che però si può constatare negli esemplari superstiti (circa una quarantina censiti in De Marinis, La legatura artistica, pp. 83-88, non tutti facenti parte degli attuali fondi vaticani; cfr. anche Adorisio - Federici, Aspetti tipologici delle legature feltresche, pp. 54-59 e Hobson, Two Italian Renaissance Bookbindings, pp. 1-4). Esempi di legature originali sono offerti dagli Urb. lat. 326, 328, 419, 427, di cui si propone un’indagine.
Urb. lat. 427 - Urb. lat. 1761, f. 54r
È interessante notare come, a seconda del luogo di confezione del codice, le legature possano presentare caratteristiche specifiche: in codici di origine fiorentina come l’Urb. lat. 328, la legatura originale è tipica di quello stile, mentre legature di codici realizzati in ambito urbinate presentano connotazioni proprie, frutto di commistioni di più stili (cfr. Urb. lat. 326, 419 e 427) – peculiarità che si riscontra anche nelle miniature realizzate dai maestri dello scriptorium di Federico –, che le contraddistinguono «in modo da non poter confondersi con altre fatte altrove. Il lettore osservando le tavole vedrà il diverso impiego di cordami, le originali cornici ad archi gotici, la cornice di meandri fatta di blocchetti accostati» (De Marinis, La legatura artistica, p. 82; cfr. anche Macchi - Macchi, Atlante della legatura italiana, pp. 240-243; Quilici, Legature di corte italiane, p. 253; Hobson, Two Italian Renaissance Bookbindings, pp. 1-4). Pare infatti che alla corte di Urbino, parallelamente all’attività di copisti e artisti, funzionasse un’officina di legatori, «verosimilmente nella sala adiacente e gemella di quella della biblioteca» (De Marinis, La legatura artistica, p. 81); sembrerebbe confermarlo un elenco di oggetti tipici di tale attività – tra cui quinterni di carta, pergamene, foglia d’oro, fermagli e cantonali – elencati insieme a mobili e suppellettili presenti in biblioteca nell’Indice vecchio (Urb. lat. 1761, f. 126r-v: «Quinterni de Charta rasa mezani», «Quinterni picoli, Cavretti Rasi», «Capretti non Rasi», Cavretti rinquadrati», «Fetta quaedam Aurea longitudinis Fere quatuor Palmarum quae superfuit Evangelistarii ligaturis», «Azulli de octone da Antiphonarii per tre volumi», «Azulli de octone da altri libri zoe quelli de sotto tra piccoli mezani et grandi», «Cantoni de libri de octone Duzinali per libri»).
Urb. lat. 1761, f. 126r-v
Da segnalare sono inoltre due legature originali urbinati, conservate oggi in Archivio Segreto Vaticano: si tratta dell’unico registro originale noto della cancelleria di Urbino, che contiene copie dei Privilegi dei Montefeltro, con documenti che precedono il 1465 e giungono fino al 1481 datati tra il 1267 e il 1486 (ASV, Arm. LX, 21), e di una sua copia calligrafica (ASV, AA. Arm. E. 123, descritta nell’Indice vecchio, che dunque attesta la sua presenza nella biblioteca federiciana; cfr. Urb. lat. 1761, f. 62r, edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. CXIII, nr. 426). Si tratta delle uniche legature note che rechino traccia dell’uso di ferri originali certamente urbinati: esse presentano infatti il tema araldico federiciano delle fiammelle – che compaiono anche nell’emblema detto delle fiammelle inquartate con le cosiddette iniziali FD – e il monogramma FDE di Federico. In entrambi i manoscritti è stato utilizzato un ferro costituito da un rettangolo con due fiamme sopra un fondo di puntini in rilievo che, ripetuto più volte, forma un’ampia cornice su entrambi i piatti del manoscritto AA. Arm. E. 123; nell’altra legatura (Arm. LX, 21) il ferro con le fiammelle, ripetuto due volte in modo da formare quattro fiamme, si alterna ad un altro ferro che sopra un fondo di puntini rilevati mostra le lettere gotiche FDE (e non FD come finora sostenuto; a riguardo si veda quanto detto nella descrizione delle fiammelle inquartate e Critelli, A proposito delle fiammelle inquartate, pp. 73-97), legate in monogramma a indicare Federicus – pur non inquartati i due elementi costitutivi di una delle imprese araldiche di Federico sono dunque entrambi presenti nella cornice che decora la legatura (cfr. Michelini Tocci, I due manoscritti urbinati, pp. 206-257, in particolare pp. 213-214, figg. 5 e 9).
La maggior parte delle legature furono sottratte o danneggiate durante l’invasione del ducato feltresco da parte delle truppe di Cesare Borgia nel 1502, quando la collezione fu trasferita nella rocca di Forlì per poi essere recuperata da Guidubaldo nel 1504, ma priva delle preziose legature e di 13 codici (De Marinis, La legatura artistica, pp. 80-81; Peruzzi, La biblioteca di Federico da Montefeltro, pp. 302-304; Ead., «Lectissima politissimaque volumina», p. 353 e nt. 95).
L’Indice vecchio reca traccia anche di tali spoliazioni. Il prezioso Urb. lat. 350, ad esempio, vi è così descritto insieme alla sua lussuosa legatura: «Virgilii Maronis Mantuani Poetarum Latinorum Principis Opera. videlicet Bucolica. Georgica. Aeneidos. Moretum. Copas. Dirae. Culex. Priapeia et Alii nonnulli versus eiusdem. Codex ornatissimus in Serico Viridi cum Cornibus et Seraturis argenteis In Viridi»; in margine è stato annotato che la legatura fu sottratta durante le razzie operate dal Valentino: «spoliatus serica veste viridi per Valentinum indutus fuit per d. ducem guidonem)» (Urb. lat. 1761, f. 70v; edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. CXX, nr. 492).
In un altro caso, per l’Urb. lat. 151, lo stesso tipo di annotazione è stato apposto dubitativamente in margine, accanto alla descrizione («Sixti IIII Pontificis Maximi De Sanguine Christi Liber. Idem de potentia Dei. Idem de Futuris Contingentibus quae quidem opera Cardinalis tituli S. Petri ad Vincula existens Composuit»): «spoliatus de serico a Valentino et indutus corio?» (Urb. lat. 1761, f. 30v; edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. LXXXII, nr. 184).
Alcuni codici, andati perduti in queste circostanze, furono successivamente ritrovati in altre collezioni, come ad esempio l’attuale Barb. lat. 4295, in corrispondenza della cui descrizione nell’Indice vecchio si trova la nota «Raptus a Valenti(ni)anis parvulus liber vulgaris» (Urb. lat. 1761, f. 63r; edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. CXIII, nr. 434). Il manoscritto, latore del trattato di araldica di Giovanni de Bado Aureo e Francesco de le Fosse, ha una splendida legatura che reca impressi in rilievo due medaglioni contenenti altrettanti ritratti di Federico, gli stessi presenti su una medaglia realizzata nel 1478 da Gianfrancesco Enzola (cfr. Hernard, Gianfrancesco Enzola, pp. 10-12), il cui originale è andato perduto ma una riproduzione è stata incisa su due tondelli di cuoio conservati nell’Urb. lat. 1418: sul piatto anteriore (e sul dritto della medaglia) è raffigurato il busto di Federico – ormai anziano – rivolto a sinistra, con intorno la legenda FEDERICUS DVX VRBINI: MONTIS FERETRIQ(UE) COMES: REGIUS GENERALIS CAPITANEUS: AC SANCTE RO(MANAE) EC(CLESIAE) CONFALONERIUS; sul piatto posteriore (e sul rovescio della medaglia) il duca è raffigurato a cavallo, con l'armatura, che si dirige verso sinistra in compagnia di soldati a piedi e preceduto da Marte e dalla Vittoria, con l’iscrizione: CAEDERE DAT MAVORS HOSTEM: VICTORIA FAMA MCCCCLXXVIII. JO. FR. PARMENSIS OPUS (cfr. De Marinis, La legatura artistica, p. 88 nr. 978; Hill, Notes on Italian medals, pp. 200-202; Id., A Corpus of Italian Medals: I, p. 73 nr. 295; II, tav. 47).
Un altro codice appartenuto alla biblioteca federiciana è lo splendido manoscritto contenente i Trionfi di Petrarca oggi conservato presso la Biblioteca Nacional de España, ms. Vitr. 22-1, identificato con il nr. [552] dell’Indice vecchio: «Francisci Petrarcae poetae Elegantissimi atque disertissimi Cantilenae et Triumphi. Codex ornatissimus Cum picturis. Multo munitus Argento et Artificiosissime Ligatus. In Rubro»; la nota vergata a margine ne registra la mancanza dal tempo del Valentino: «abest e tempore Valentini et dixit do. Elisabet ducissa urbini intellexisse esse Venetiis apud quemdam patricium» (Urb. lat. 1761, f. 77r; edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. CXXVII). Anch’esso possiede ancora la legatura originale, significativamente simile a quella dell’Urb. lat. 326.