LA PRODUZIONE PADANO-FERRARESE
L’avvicendamento dei due momenti artistici – quello fiorentino e quello padano-ferrarese – andrebbe ridimensionato in favore di una visione legata all’idea della compresenza di apporti che, pur con un peso diverso, convivono tra di loro. I miniatori che da Ferrara, Padova, Mantova arrivano a Urbino – Guglielmo Giraldi, Franco dei Russi, Alessandro Leoni, Giovanni Corenti, ad esempio –, non si palesano a corte dopo il 1478, bensì sono in contatto con essa, per il tramite di Matteo Contugi, già dalla fine degli anni ’60, come dimostra la corrispondenza epistolare tra quest’ultimo e Giraldi. Nel panorama dell’illustrazione libraria quattrocentesca, loro rappresentano l’altro grande polo figurativo: essi parlano il linguaggio dell’antiquaria, che prende le mosse dalla riflessione visiva di Andrea Mantegna – uno su tutti – e poi, proprio per il tramite dei libri, si irradia nei maggiori centri italiani di produzione artistica (Roma, Napoli), declinandosi di volta in volta in maniera autonoma; un processo che sembra aver coinvolto anche Urbino. L’arrivo dei maestri padano-ferraresi, che per il duca eseguono l’Urb. lat. 10, l’Urb. lat. 151, l'Urb. lat. 365, sembra essere uno dei canali attraverso il quale si struttura il cosiddetto scriptorium di palazzo. La localizzazione del reale luogo di lavoro dei maestri padano-ferraresi rimane tuttavia questione ancora controversa: non è infatti chiaro se la loro produzione miniata per la biblioteca feltresca fosse eseguita nelle città di origine (Ferrara, Padova, Mantova etc.), se a Urbino o se, in maniera ‘itinerante’, in entrambi i posti.