Le fiammelle (o lingue di fuoco) inquartate costituiscono l’emblema più controverso dell’araldica federiciana. Nonostante sia molto rappresentato nei codici e in numerose altre forme di espressione artistica, la sua decifrazione è risultata criptica per entrambe le sue componenti: fiammelle e lettere.
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È stato messo in evidenza che, per la sua composizione, esso possa essere considerato uno stemma (cfr. Nardini, Le imprese, p. 16; Ceccarelli, “Non mai”, pp. 51-53; Fenucci, Notes, pp. 82-83): nel primo e nell’ultimo quarto si trovano alcune lettere in scrittura gotica finora interpretate come FD, nel secondo e nel terzo quarto si trovano fiammelle ondeggianti in numero variabile – solitamente tre, ma ne compaiono anche cinque, sette o nove (in alcuni casi le lettere possono trovarsi nel secondo e terzo quarto e le fiammelle nel primo e nel quarto). Giacomo Bascapé ne offre la seguente descrizione araldica: «uno scudo inquartato: d’argento a 5 fiamme di rosso, e di verde alle lettere F(edericus) D(ux) d’argento» (Bascapè – Del Piazzo, Insegne e simboli, p. 65 nt. 8, in riferimento alla descrizione dell’Urb. lat. 10, f. 10r; cfr. anche Michelini Tocci, Poggio Fiorentino, p. 253).
Sul valore simbolico delle fiammelle sono state formulate diverse ipotesi di interpretazione. Secondo alcuni sarebbero un’allusione alle virtù che elevano lo spirito, alla pratica di supremi ideali e di vasti interessi culturali (cfr. Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1-500, pp. XIII-XIV; Nardini, Le imprese, p. 16; Cappellini, Araldica Feretrana, p. 83; Ceccarelli, “Non mai”, pp. 51-53; Fenucci, Notes, pp. 82-83). Altri vi hanno voluto ravvisare un’allusione alle tre grandi onorificenze ricevute dal signore di Urbino nel 1474 (Ordine della Giarrettiera, titolo di Gonfaloniere della Chiesa, Ordine dell’Ermellino; l’ipotesi, ripresa da molti, fu formulata in Nardini, Le imprese, pp. 16-18), ma, come si è già visto, le fiammelle possono essere anche in numero maggiore di tre.
Diversa la tesi formulata da Francesco V. Lombardi, secondo il quale le lingue di fuoco sarebbero da mettere in relazione con l’adesione di Federico – mentre, molto giovane, si trovava ostaggio a Venezia per garantire la seconda pace di Ferrara –, alla cosiddetta Compagnia della Calza, una società di giovani aristocratici ispirati da ideali cortesi noti con il nome di Accesi, poiché avevano come simbolo delle fiamme d’amore (cfr. Lombardi, I simboli, p. 140). L’ipotesi è stata confutata per motivi cronologici da Pier Luigi Bagatin, il quale ha osservato che gli Accesi si costituirono in Compagnia solo dopo il 1533 (cfr. Bagatin, Le tarsie, p. 26).
È da rilevare che le fiammelle compaiono anche come elemento indipendente e autonomo – non inquartato –, in diversi contesti (cfr. Urb. lat. 740, f. 1r, e Urb. lat. 1384, f. 1r), come ad esempio sui capitelli delle lesene frontali dell’alcova di Federico o nella volta della biblioteca di Urbino, dove si irraggiano da un clipeo centrale con all’interno l’aquila nera feltresca su fondo oro: in quest’ultimo caso ad esse è stato attribuito un valore di sapienza, di «Pentecoste profana, una delle più forti affermazioni che il Rinascimento abbia prodotto» (cfr. Dal Poggetto, Nuova lettura, p. 117; per altri esempi si vedano anche Ceccarelli, “Non mai”, pp. 51-53; Caldari, Emblemi, pp. 106-108; Lombardi, I simboli, p. 140; Critelli, A proposito delle fiammelle inquartate, p. 79 nt. 18).
È in ogni caso da constatare che il simbolo è realizzato con molteplici varianti, oltre che nel numero delle fiammelle, anche nella loro direzione, poiché sono a volte ascendenti, altre volte discendenti; inoltre anche le lettere, solitamente in scrittura gotica, sono realizzate in modi differenti, talvolta arricchite da tratti calligrafici e ornamentali, altre volte più semplificate.
Le lettere hanno costituito un elemento ulteriormente controverso. Esse sono sempre state lette FD e interpretate come iniziali di Federicus Dux, come accade per le lettere che spesso si trovano affiancate allo stemma ducale (ma esse sono in capitale e non in caratteri gotici, e separate l’una dall’altra dallo stemma, e non l’una accanto all’altra e con tratti in nesso tra loro); se così fosse, la loro presenza porterebbe a datare gli oggetti artistici che ne sono fregiati dopo il conferimento di tale carica, ovvero post 1474. Almeno in un caso è stato già messo in rilievo che tale datazione porrebbe alcuni problemi poiché l’emblema compare anche in codici databili al periodo in cui Federico era ancora conte, come l’Urb. lat. 491, che Luigi Michelini Tocci ha datato ante 1474 (cfr. Michelini Tocci, Poggio Fiorentino, pp. 533-536; ma cfr. anche Urb. lat. 52).
La lettura delle lettere appare dunque non scontata. Michelini Tocci, già nel 1958, segnalava come ad Augusto Campana, osservando l’emblema all’interno del Palazzo Ducale di Urbino, parve di vedere di seguito a FD una terza lettera «e precisamente una seconda F dopo la D, legata strettamente con questa» (cfr. Michelini Tocci, I due manoscritti urbinati, p. 235 nt. 1). Lo studioso fece sua l’ipotesi e, riprendendo l’argomento più di venti anni dopo, avanzò tre possibili letture, tutte attestate nell’epigrafia e nell’araldica di Federico di Montefeltro prima del ducato: ovvero FdF per F(e)d(ericus) F(eltrius), FrF per Fr(idericus) F(eltrius), FdC per F(e)d(ericus) C(omes), FrC per Fr(idericus) C(omes)» (cfr. Michelini Tocci, Poggio Fiorentino e Federico da Montefeltro, p. 535).
In effetti, le lettere, pur realizzate sempre in scrittura gotica, presentano delle differenze nel tratteggio soprattutto nella parte finale, spesso arricchita da tratti calligrafici apparentemente ornamentali, non sempre uguali a loro stessi, a volte alquanto artificiosi, altre volte più semplificati. A differenza di quanto accade per gli altri emblemi federiciani, gli artisti che rappresentarono le fiammelle inquartate non sempre lo fecero secondo le medesime modalità, andando anche oltre la libertà di rappresentazione artistica personale e lo stile proprio, ma realizzando delle effettive varianti, anche sostanziali, forse senza averne pienamente coscienza. In alcuni casi sembra dunque di poter effettivamente leggere FDC (Urb. lat. 2, f. 161r; Urb. lat. 52, f. 2r; Urb. lat. 74, f. 1r; Urb. lat. 324, f. 1r; Urb. lat. 491, ff. 1r e 5r), in altri FDF (Urb. lat. 1, f. 207r; Urb. lat. 2, ff. 2r, 31v, 174v e 283r; Urb. lat. 52, f. 2r; Urb. lat. 141, al f. 1r; Urb. lat. 365, f. 12r), altrove FDE (Urb. lat. 2, f. 2r; Urb. lat. 400, f. 2r; Urb. lat. 427, f. 2r). L’emblema si trova per lo più inserito in un clipeo, ma alcune volte è rappresentato all’interno di una cornice quadrata (cfr. Urb. lat. 1, f. 207r o Urb. lat. 2, f. 31v) o in un scudo a forma di testa di cavallo (dell’Urb. lat. 325, f. 1r).
Urb. lat. 2, f. 161r - Urb. lat. 74, f. 1r
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Vi sono anche casi in cui la D è completamente assente, come nell’Urb. lat. 441, dove sono chiaramente presenti due lettere: FE al f. 2r, FE (nel primo quarto) e FC (nell’ultimo quarto) al f. 8r (cfr. anche Urb. lat. 740, f. 1r). L’antiporta dell’Urb. lat. 357, al f. IIv, propone una variante del tutto anomala, in cui neanche la F è più individuabile, e che sembra suggerire la non comprensione da parte del miniatore di quanto veniva riprodotto all’interno del clipeo. L’Urb. lat. 129 offre in una pagina di incipit, al f. 12r, una particolarissima rappresentazione dell’emblema, a sua volta inquartato con l’impresa della bombarda rovesciata, all’interno di una cornice irregolare listata d’oro. Nel secondo quarto le lettere sembrano corrispondere a FDC, ma nel terzo quarto – dove il tratto solitamente infrascritto si trova sovrascritto – in un tratteggio simile, ma non uguale, sembra di intravedere una E. Sostanzialmente le lettere FD sono quasi sempre riconoscibili, mentre l’oscillazione riguarda soprattutto l’ultima lettera, che a volte sembra mancare, altre volte sembra essere una C, altre volte ancora una F o una E (a seconda della presenza o meno del trattino orizzontale al centro).
Urb. lat. 441, f. 2r - Urb. lat. 357, f. IIv
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Già Michelini Tocci aveva segnalato nella decorazione di due legature originali urbinati l’uso di ferri in cui si trovano rappresentati i due temi araldici federiciani, fiammelle e monogramma con lettere gotiche – il medesimo presente nell’emblema delle fiammelle inquartate –, che lo studioso aveva letto come FDF, ma che a nostro avviso si possono leggere FDE (con D ed E in nesso), anche alla luce di nuovi confronti numismatici (cfr. Critelli, A proposito delle fiammelle inquartate, pp. 73-97, in particolare p. 97) ; i due volumi ai quali si fa riferimento sono l’unico registro della cancelleria di Urbino giunto fino a noi, latore di una raccolta di Privilegi concessi in vari tempi ai Montefeltro (Arm. LX, 21), e una sua copia calligrafica (AA. Arm. E. 123), attualmente conservati presso l’Archivio Segreto Vaticano (cfr. Michelini Tocci, I due manoscritti urbinati cit., pp. 206-238; De Marinis, La legatura artistica, p. 86 nr. 959 bis e ter).
Archivio Segreto Vaticano, Arm. XL 21, piatto anteriore, particolare monogramma
Il monogramma (ovvero un unico segno grafico costituito dall’insieme di lettere congiunte o sovrapposte in nesso fra loro) impresso sulle legature risulta molto simile a quello presente all’interno delle fiammelle inquartate rappresentate nelle tarsie lignee dello Studiolo di Urbino, nonché in quello di Gubbio; qui le lettere FD, alle quali l’occhio è già abituato, si distinguono in maniera preponderante, ma ad uno sguardo più attento si noteranno anche i tratti orizzontali della E finale (cfr. Cheles, Lo Studiolo di Urbino, figg. 49, 66, 90; Raggio, Lo Studiolo, p. 119 fig. 5-69; Wilmering, Le tarsie rinascimentali, p. 109 fig. 2-67).
Biblioteca Apostolica Vaticana, picciolo coniato a Urbino
Durante le ricerche condotte per la realizzazione di questo percorso tematico, è stato possibile individuare una nuova testimonianza relativa al monogramma, che, come è noto, è elemento spesso presente nelle monete. Si tratta di un picciolo sicuramente coniato a Urbino ante 1474, poiché nella legenda sul dritto si legge «FEDERICVS CO(mes)»: nel campo, è chiaramente leggibile il monogramma FDE (cfr. CNI, XIII, p. 500 n. 2), in una forma del tutto simile a quella presente sulla legatura urbinate del ms. Arm. LX, 21, nonché in alcune miniature di codici urbinati (cfr. Critelli, A proposito delle “fiammelle inquartate con le lettere FD”, pp. 84-97). La moneta ha dunque un valore probante: in essa sono compresenti il titolo comitale di Federico e le lettere in scrittura gotica FDE: esse non si possono quindi riferire al titolo ducale ottenuto nel 1474, non sono cioè iniziali di parola (per Federicus Dux), ma costituiscono invece un monogramma in cui le lettere, legate in nesso, significano Federicus. La sua presenza in un documento ufficiale come quello numismatico, coniato dalla zecca urbinate, è inoltre prova incontrovertibile del fatto che la forma in cui esso compare nella moneta è quella controllata e autorizzata dall’autorità emittente. Il fatto inoltre che le lettere FDE impresse sulla legatura del volume proveniente dalla cancelleria urbinate siano così simili a quelle presenti sulla moneta pare rafforzare l’idea che il monogramma miniato nei codici potesse essere condizionato dallo stile e forse dall’interpretazione dei modelli dell’artista.
Si può infine affermare che il monogramma miniato all’interno dell’emblema delle fiammelle inquartate non è collegato all’ambita dignità ducale e che dunque la sua presenza nei manoscritti non costituisce un terminus post quem rispetto all’anno del suo conseguimento.