COPISTI DI CORTE
Se il ruolo di Vespasiano da Bisticci nella formazione della biblioteca federiciana è attestato dalla testimonianza diretta del cartolaio, oltre che da alcune lettere di Federico a Lorenzo de’ Medici (cfr. Franceschini, Figure del Rinascimento, pp. 139-142), l’attività di copisti e miniatori alla corte di Urbino non è altrettanto documentata.
Alcune notizie sono offerte nella «Memoria felicissima de lo illustrissimo Signor Duca Federico Duca de Urbino et de la sua fameglia che teneva. Opera de Susech antiquo cortegiano» (Urb. lat. 1204, ff. 97v-111r), redatta dopo il 1474; l’autore si sottoscrive definendosi «Susech de Castel Durante, antiquo cortegiano qual prima fu paggio et poi camoriero del signor Octaviano» (f. 103r). La Memoria contiene liste di persone che furono a servizio presso la corte feltresca, scritte da due mani diverse e probabilmente in epoche diverse (cfr. Zannoni, I due libri, pp. 650-671, con edizione del testo alle pp. 666-671; Michelini Tocci, I due manoscritti, p. 217 nt. 1; Peruzzi, Lavorare a corte, pp. 225-296, in particolare p. 241 nt. 51); vi sono citati i nomi di alcuni «scrittori de libri della libraria: D[…] Lancilago, ser Mattheo da Volterra, ser Federigo Vagnino, magistro Nicola da Genova e molti altri scritori di fuora» (f. 110v). Di essi è noto solo Matteo Contugi; sorprende invece di non trovare nella lista un copista conosciuto, come Federico Veterani, che compare solo tra i lettori alla tavola di Federico, ovvero tra «li deputati a leggere fin ch’il signore mangiava» (f. 108v).
In effetti dei copisti attivi alla corte di Urbino, solo per questi due personaggi vi sono notizie sufficienti a ricostruirne un profilo; entrambi costituiscono personalità importanti, seppur molto diverse tra loro.
Federico Veterani è urbinate e sembra aver trascorso tutta la sua vita nella sua città, devoto al suo signore e attivo per lui almeno dal 1471 (cfr. Urb. lat. 419, 420, 651), ancora adolescente. Dopo la morte del duca continuò a dedicarsi alla collezione che aveva contribuito a formare in qualità di bibliotecario e apponendo sui codici da lui stesso vergati anni prima note o versi nostalgici del tempo passato.
Urb. lat. 651, f. 3r
Matteo Contugi è di Volterra, ha viaggiato per le più importanti corti signorili italiane prima di approdare presso quella feltresca. Per Federico verga solo alcuni codici, ma estremamente raffinati e miniati da famosi artisti, quali Guglielmo Giraldi, Franco dei Russi, Alessandro Leoni (cfr. Urb. lat. 10, 151, 365) o, se anche meno noti o addirittura anonimi, talmente eleganti da meritare la notorietà e diventare riconoscibili con un nome che li lega al codice che hanno decorato, come nel caso del Maestro del Curzio Rufo (Urb. lat. 427, al quale collaborò anche Bartolomeo della Gatta); a Giovanni Corenti, noto solo per aver firmato l’Urb. lat. 326 vergato da Veterani, è attribuita la decorazione dell’Urb. lat. 324. È inoltre possibile che Contugi abbia avuto anche un ruolo organizzativo e di coordinamento tra le varie personalità coinvolte nella realizzazione dei manoscritti.
Urb. lat. 427, f. 2r
Veterani verga molti codici, egli stesso afferma più di 60 (Urb. lat. 351, f. CCCLXXXIIr), ma, pur nella sua scrittura composta e fluida, non può eguagliare l’eleganza della mano di Contugi (per un’analisi della sua scrittura cfr. Critelli, Per la carriera di Matteo Contugi, pp. 278-284). L’apparato decorativo dei suoi manoscritti è attribuibile ad artisti dello scriptorium urbinate, anonimi (Urb. lat. 1221) o dei quali è noto solo il nome o poco più, come nel caso di Giovanni Corenti (Urb. lat. 326) o Ercole Giraldi (Urb. lat. 349); controversa è la sua attività di miniatore, ipotizzata sulla base di alcune sue note (cfr. Urb. lat. 419, 420, 651).
Per entrambi i copisti, i colophon da essi stessi sottoscritti sono un’importante fonte di informazioni. Contugi offre pochi dati, relativi alla sua città di origine e al nome di suo padre, ma che altrimenti non sarebbero noti. Suo cugino era quel Francesco Contugi (m. 1495), notaio volterrano, anch’egli copista di codici in elegante umanistica libraria, alcuni dei quali appartenuti a Federico da Montefeltro (l’Urb. lat. 442 presenta di seguito alla firma il signum tabellionis; il solo signum è presente nell'Urb. lat. 45 al f. 203r, nell'Urb. lat. 391 al f. 49r, nell'Urb. lat. 462, nell'Urb. lat. 670 al f. 122r, nell'Urb. lat. 890 al f. 87r, nell'Urb. lat. 1342 al f. 43v,nell'Urb. lat. 1345 al f. 52v). Non si sa quando Matteo sia nato, né dove lui o Francesco abbiano ricevuto la loro formazione.
Veterani, oltre al luogo di nascita, fornisce informazioni sulla propria attività, non tanto nelle sottoscrizioni stricto sensu, ma nelle annotazioni che spesso, anche a distanza di tempo, appone di seguito ai colophon. Secondo quanto affermato nei codici, la sua attività di copista per Federico si dovrebbe dunque collocare tra il 1471, quando era ancora adolescente, e il 1482, anno di morte di Federico.
In particolare, in uno dei codici da lui sottoscritti, in una nota aggiunta dopo la morte del duca di seguito al colophon, viene indicato anche il luogo di copia: Gubbio («Scriptum Eugubii, in eius magnificentissima curia [...]» (Urb. lat. 419, f. 161r). L’affermazione è interessante e meriterebbe ulteriori indagini poiché Gubbio, città natale di Federico e del figlio Guidubaldo, sede del Palazzo ducale curato dall’amico architetto Francesco di Giorgio Martini, al cui interno è presente – come ad Urbino – un celebre Studiolo, è certamente la seconda città più importante del ducato, ma non vi sono testimonianze relative ad una raccolta libraria ivi conservata o ad un’attività di copia strutturata (cfr. Clough, Lo Studiolo di Gubbio, pp. 287-300; Lo studiolo di Federico da Montefeltro).