Contugi prima di Federico
L’unico legame diretto del copista con Firenze, che può lasciare ipotizzare un verosimile “periodo fiorentino”, è testimoniato dal Plut. 54.20 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, sottoscritto al f. 54r («Manu Mathei domini Hèrculani de Contugiis de Vulterris et caetera»). Il codice, che contiene il Theophrastus di Enea di Gaza nella traduzione di Ambrogio Traversari, è caratterizzato da una decorazione tipicamente fiorentina; lo stemma a sei palle presente al f. 2r attesta che fu realizzato per un membro della famiglia Medici. Albinia de la Mare, accennando fugacemente al codice, lo data al 1460 circa (de La Mare, New Research, p. 449 nt. 224; cfr. anche Derolez, Codicologie des manuscrits II, p. 50 nr. 205). Riferimenti a Firenze e alla Toscana sono presenti in alcune lettere di anni successivi inviate al marchese Ludovico Gonzaga, in cui il copista esprime l’intenzione di andare per trovare buone pergamene o per altri motivi, personali o non meglio chiariti (cfr. Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 2401, fasc. XIX, f. 23r-v). La scrittura del manoscritto fiorentino, attribuibile agli anni giovanili di Matteo, non è ancora curata come quella dei codici straordinariamente eleganti realizzati per Federico, così come lontana da quei modelli è l’ornamentazione. Ad un periodo iniziale è pure riconducibile l’attuale Ott. lat. 1998, modesto anche nel formato; esso, sottoscritto al f. 104v («per me Matheum domini Herculani De Vulterris»), contiene le Commedie di Terenzio .
Tra i numerosi colophon sottoscritti da Contugi uno solo è datato, quello del ms. 113 conservato presso il Christ Church College di Oxford, che ad oggi costituisce anche la più antica attestazione della sua attività: «Manu Mathei Domini Herchulani de Vulterris / Ad clarissimam civitatem F. et c(etera). MCCCCLVI» (f. 156v). Sulla base della decorazione delle iniziali, a bianchi girari con palmette e tralci fitomorfi, di tipo ferrarese, si è ritenuto che il codice sia stato scritto a Ferrara, ma non è chiaro chi sia stato il committente poiché lo stemma nel margine inferiore del f. 2r non è stato identificato; alla sua mano è attribuibile anche il ms. 114, non firmato, che contiene Ecloghe e Georgiche.
Ferrara è esplicitamente citata nel colophon di un manoscritto realizzato per Ercole I d’Este all’inizio degli anni Settanta, un volgarizzamento di Matteo Maria Boiardo della Cyropaedia di Senofonte (Modena, Biblioteca Estense, α. G. 5.1 = Ital. 416), che presenta il seguente colophon: «Manu Matthaei de Contugiis de Vulterris: ad Clarissimam civitatem Ferrariae» (cfr. Critelli, Per la carriera di Matteo Contugi, pp. 260-261, con bibliografia). Il legame di Contugi con Ferrara e con i miniatori di questa scuola, documentato in anni successivi, venne sviluppandosi nel corso del tempo fino a quando il copista giunse probabilmente a rivestire un ruolo attivo nel coinvolgimento di artisti ferraresi per la formazione della biblioteca di Federico.
La sua corrispondenza con Ludovico Gonzaga offre la prima notizia certa riguardante la sua attività per i signori di Mantova, per i quali lavorò almeno dal 1463 (cfr. Mantova, Archivio di Stato, Archivio Gonzaga, b. 2399, f. 638r-v), vergando alcuni splendidi codici tra cui un Petrarca appartenuto al cardinale Francesco Gonzaga (London, British Library, Harley 3567), un Plauto (Madrid, Biblioteca Nacional, Vitr. 22-5, non sottoscritto ma unanimemente attribuito) e un Plinio (Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, J.I. 22-23), entrambi per Ludovico Gonzaga (cfr. Critelli, Per la carriera di Matteo Contugi, pp. 256-257 ntt. 11-15, con bibliografia).
Tra le numerose epistole, alcune offrono interessanti particolari sul lungo e ponderoso lavoro svolto per la realizzazione della Historia Naturalis di Plinio, tra solleciti dei committenti per la fine delle opere e altrettanti solleciti del copista per i compensi non ancora onorati. In particolare ne emerge che Contugi svolse una funzione di intermediario per un’offerta da parte di Guglielmo Giraldi per la decorazione del codice, vergato tra il 1463 e il 1468 e miniato successivamente da Pietro Guindaleri e da altri artisti. Se nel codice non c’è traccia di intervento di Giraldi – con il quale il copista lavorò per il Plauto –, la notizia è importante perché lascia ipotizzare un coinvolgimento di Contugi nell’organizzazione del confezionamento dei codici più ampio di quanto non sia il solo lavoro di copia, come avverrà più tardi presso la corte urbinate (cfr. Critelli, Per la carriera di Matteo Contugi, pp. 259-260 e ntt. 19-23, con bibliografia).