La Biblioteca di un 'principe umanista' Federico da Montefeltro e i suoi manoscritti [di M.G. Critelli]

CON GLI OCCHI DI VESPASIANO

Una delle fonti principali per ricostruire il profilo della collezione di Federico da Montefeltro è costituita dalla descrizione della biblioteca offerta da Vespasiano da Bisticci nel Commentario de la vita del signore Federico duca d’Urbino.

Il testo fornisce interessanti informazioni passando in sintetica rassegna facultates (materie) e autori; ne emergono immediatamente dimensione linguistica e paradigma contenutistico, che trovano riscontri nell’Indice vecchio, l'antico inventario redatto poco dopo la morte di Federico.

Vespasiano offre anche un ritratto del signore di Urbino e dei suoi interessi: Federico è descritto come perfetto principe rinascimentale, protagonista della politica del suo tempo, abile condottiero e illustre mecenate, accorto nelle armi quanto dedito alle imprese culturali.

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Urb. lat. 883, f. 1v

COME CONGIUNSE LA DISCIPLINA MILITARE CO' LE LETTERE

Avendo detto infino a qui alcuna cosa fatta dal duca d’Urbino circa la disciplina militare, et lasciata la magior parte a quegli ch’aranno a scrivere la storia sua, parmi al presente dovere dire alcuna cosa della peritia ebe della lingua latina, congiungendola colla disciplina militare, chè difficile è a uno capitano singulare potere far bene e’ fatti dell’arme, s’egli non ha la peritia delle lettere, come ebe il duca d’Urbino, perché le cose passate sono exempro delle presenti. Et ha vantaggio grandissimo uno capitano de’ gente d’arme sapiendo la lingua latina, che uno che non la sa, perché grande parte de’ sua fatti d’arme gli faceva a imitatione et de gli antichi et de’ moderni, degli antichi, per la letione delle istorie, i moderni, per essere istato da piccolo fanciullo alevato ne’ fatti dell’arme, et maxime sotto la disciplina di Nicolò Picinino [= Piccinino], come inanzi è detto, che fu de’ degni capitani che avessi la sua età. Ritornando alle lettere, il duca d’Urbino n’ebbe grandissima cognitione, non solo delle istorie et de’ libri della Iscrittura sancta, ma egli ebe grandissima notitia di filosofia, nella quale dette opera più anni sotto uno maestro in teologia singularissimo, che si chiama maestro Lazero, che di poi per la sua virtù lo fece fare vescovo d’Urbino [Lazzaro Racanelli, che fu vescovo di Urbino dal 1478 al 1484].

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Udì da maestro Lazero l’Etica d’Aristotile con comenti et sanza comenti, et non solo l’udì, ma tutti quegli passi difficili gli disputava, et avendo dato in primo opera a loica, intendeva gli argomenti benissimo, et non solo gli intendeva, ma egli disputava, sendo di prestantissimo ingegno come era. Avendo udita l’Etica più volte tutta, intendendola maravigliosamente, in modo che dava fatica al precetore nelle disputationi, udita l’Etica, e non solo intendendola ma sapiendola quasi a mente, si fece legere la Pulitica, et quella vide con grandissima diligentia. Sendo venuto a Firenze nell’acquisto di Volterra, priegò Donato Aciaiuoli che gli piacessi durare fatica, avendo comentata l’Etica, di comentare la Pulitica, et così fece, et mandolla alla sua Signoria. Avendo udita l’Etica et la Pulitica, volle udire de’ libri naturali di Aristotile, et fessi legere la Fisica et altre opere d’Aristotile, in modo che si poteva chiamare lui solo, essere il primo de’ signori che avessi dato opera a filosofia, et che n’avessi cognitione alcuna. Attendeva del continovo a fare che lo’ngegno suo et la sua virtù andassi sempre inanzi a imparare ogni dì cose nuove.

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Avendo notitia di filosofia, volle avere notitia di teologia, la quale è quella in nella quale ogni cristiano debbe fondarsi. Fecesi leggere la prima parte di sancto Tomaso, et alcune altre opere delle sua, et era per questo affetionatissimo alla dottrina di sancto Tomaso, parendogli una dottrina chiara come ella era, et molto difendeva la dottrina sua. Quando si parlava o di santo Tomaso o di Schoto, diceva che, bene che Ischoto ne’ sua opinioni fussi istato sottilissimo, nientedimeno sancto Tomaso era la sua dottrina più chiara. Avendo notitia di filosofia, volle avere notitia di teologia, la quale è quella in nella quale ogni cristiano debbe fondarsi. Fecesi leggere la prima parte di sancto Tomaso, et alcune altre opere delle sua, et era per questo affetionatissimo alla dottrina di sancto Tomaso, parendogli una dottrina chiara come ella era, et molto difendeva la dottrina sua. Quando si parlava o di santo Tomaso o di Schoto, diceva che, bene che Ischoto ne’ sua opinioni fussi istato sottilissimo, nientedimeno sancto Tomaso era la sua dottrina più chiara.

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Et volle ancora vedere delle opere di Schoto, che si fece legere il primo, in modo ch’era cosa mirabile a vedere. Il tempo aveva, lo compartiva in modo che ogni cosa gli riusciva, avendo notitia, più che a uno signore non si conveniva, et di filosofia morale et naturale, di poi della Iscrittura Sancta e dei dotori moderni che vanno per via d’argomenti. Aveva grandissima notitia della iscrittura sancta, de’ dottori antichi, cominciandosi alla Bibia et a tutti e’ dottori antichi, come è sancto Ambruogio, Girolamo, sancto Agostino, sancto Gregorio, de’ quali aveva voluti tutti l’opere loro. Aveva notitia de’ dottori greci et tutte l’opere si trovavano in latino delle loro, aveva voluto Basilio, Giovanni Grisostimo, Gregorio Nazianzeno, Niseno, Atanasio, Cirillo, Efrem, e’ sua sermoni. Volle avere piena notitia d’ogni cosa sacra come gentile, de’ poeti, delle istorie, le quali aveva lette tutte et spesso le legeva, et faceva legere Livio, Salustio, Quinto Curtio, Giustino, Comentari di Cesare, i quali lodava in infinito, tutte e quarantotto le Vite di Plutarco, tradutte da varii traduttori, l’aveva lette tutte, Elio Isparziano, con quegli altri iscrittori degl’imperadori moderni, quando lo ‘mpero romano era venuto in declinatione, Emilio Probo, Degli excellenti duci externi, Cornelio Tacito, Suetonio, Delle vite de’ dodici imperadori, cominciando a Cesare. Andando di poi a’ tempi, aveva Eusebio, De temporibus, del quale aveva piena notitia, coll’agiunte di Geronimo et Mateo Palmeri.

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Aveva voluto avere notitia de’ architettura, delle quale l’età sua, non dico [di] signori ma di privati, non c’era chi avesse tanta notitia quanto la sua Signoria. Vegansi tutti gli edifici fatti fare da lui, l’ordine grande et le misure d’ogni cosa come l’ha osservate, et maxime il palagio suo, che in questa età non s’è fatto il più degno edificio, si bene inteso, et dove sieno tante degne cose quante in quello. Bene ch’egli avessi architettori apresso della sua Signoria, nientedimeno nell’edificare intendeva il parere suo, dipoi dava et le misure et ogni cosa la sua Signoria, et pareva, a udirne ragionare la sua Signoria, che la principale arte ch’egli avessi fatta mai fussi l’architettura, in modo ne sapeva ragionare et metere in opera per lo suo consiglio, non solo in edificare palagi o altre cose, ma vegansi più forteze nelle terre sua, per ordine suo con nuovo modo et più forte assai che sono l’antiche, et dove loro facevano alte, la sua Signoria l’ha fatte fare l’oposito più basse, conoscendo l’ofesa delle bombarde nolle potessino ofendere. Sì che dell’architettura si mostra la sua Signoria averne avuta piena notitia. Di geometria e d’arismetrica n’aveva buona perizia, et aveva in casa sua uno maestro Pagolo, tedesco, grandissimo filosofo e astrolago. Et di geometria e d’arismetrica aveva bonissima notitia. Et non molto tempo inanzi che si morissi, si fece legere da maestro Pagolo opere di geometria et d’arismetrica, et parlava dell’una et dell’altra come quello che n’aveva piena notitia. Della musica s’era dilettato assai, et intendevane benissimo et del canto et del sono, et aveva una degna capella di musica, dove erano musici intendentissimi, et avevano parecchi giovani che facevano canto et tinore in modo ch’era una degna capella di musica. D’istrumenti non era istrumento che la sua signoria non avessi in casa, et deletavasi assai del suono, et aveva in casa sonatori perfettissimi di più instrumenti, diletavasi più d’instrumenti sotili che de’ grossi, trombe et instrumenti grossi non se ne diletava molto, ma organi et instrumenti sotili gli piacevano assai.

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Venendo alla iscultura, egli n’aveva grandissima notitia, et pongasi mente nel suo palagio le isculture che vi sono, ch’egli fece fare, s’egli volle e’ magiori maestri che si trovassino in quel tempo, et a udirlo parlare con uno iscultore, pareva che l’arte fussi sua, in modo ne ragionava. Della pitura n’era intendentissimo, et per non trovare maestri a suo modo in Italia, che sapessino colorire in tavole ad olio, mandò infino in Fiandra per trovare uno maestro solenne, et fello venire a Urbino, dove fece fare molte piture di sua mano solennissime, et maxime in uno suo istudio, dove fece dipingere e’ filosofi et poeti et tutti e’ dottori della Chiesa, così greca come latina, fatti cor uno maraviglioso artificio, et ritrasevi la sua signoria al naturale, che non gli mancava nulla se non lo spirito. Fece venire ancora di Fiandra maestri che tesevano panni d’arazo, et fece fere loro uno fornimento degnissimo d’una sala, molto rico, tutto lavorato a oro et seta mescolata collo istame; era maravigliosa cosa le figure che fece fare, che col pennello non si sarebono fatte le simili, fece fare più ornamenti alle camere sua a questi maestri. Ebe grandissimo giudicio universale in ogni cosa. In fra l’altre, fece fare lavori sì degni a tutti gli usci delle camere sua, in modo che di penello le figure che v’erano non si sarebono fatte più degne di quelle, et èvi uno istudio lavorato con tanto mirabile artificio, che sendo fatto col pennello, o d’ ariento, o di rilievo, non sarebe possibile che si paregiassi a quello. Sendo la sua Signoria intendentissima, tutte le cose che ebe a fare, le fece fare in superlativo grado, per intendere come egli faceva.

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Ritornando allo studio delle lettere, dove cominciammo, da papa Nicola e il re Alfonso in qua, lo studio delle lettere et gli uomini singulari non hanno avuto ignuno che gli abia più onorati et premiati delle loro fatiche, che ha fatto il duca d’Urbino per mantenergli, et non ha perdonato a spesa ignuna. Sonvi istati pochi litterati in questa età, che il duca d’ Urbino non abia premiati, et di grandissimi premi. Ebe da lui il Campano, uomo dotissimo, trovandosi in bisogno, ducati mille o più. Songli istate mandate alcune opere degne, dove a Firenze solo ha donati a uomini litterati ducati mille cinquecento o più. Non dico quegli ha dati a Roma, a Napoli et in altri luoghi, chè non mi sono noti. Non hanno avuto i literati, oltre alla sua inaudita liberalità, signore ignuno che gli abia più difesi, che ha fatto il duca d’Urbino. Era il vescovo Sipontino perseguitato da papa Sisto, che se il duca d’Urbino non avessi presa la sua difesa, lo faceva capitare male. Sempre volle in casa sua qualche uomo dotto, a’ quali dava buonissima provisione. Non veniva mai a Urbino, dove fussi la sua Signoria, ignuno uomo dotto, ch’egli nollo onorassi, o nollo tenessi in casa (Vespasiano da Bisticci, Le Vite, pp. 379-386).

Le caratteristiche qui evidenziate si ritrovano anche nelle miniature in cui più volte Federico è raffigurato all’interno dei codici per lui realizzati (cfr. Stornajolo, I ritratti e le gesta; Sangiorgi, Iconografia federiciana; Conti, L'Ordine napoletano dell'Ermellino, pp. 199-220); si è deciso dunque di accompagnare il testo biografico con alcuni di questi ritratti – presenti anche in manoscritti non confezionati nella bottega del cartolaio fiorentino.