La Biblioteca di un 'principe umanista' Federico da Montefeltro e i suoi manoscritti [di M.G. Critelli]

CODICI ORNATISSIMI: BAGLIORI DA UNA COLLEZIONE

I manoscritti selezionati disegnano in maniera efficace il profilo della collezione di Federico da Montefeltro, non solo dal punto di vista testuale, ma anche sotto l’aspetto artistico. Un profilo che è stato sino a oggi illustrato seguendo alcune linee interpretative condivisibili nei loro presupposti, ma che, alla luce della presente ricerca, sono forse in parte da sfumare. Esse infatti raccontano di tre diversi momenti nella composizione della biblioteca federiciana: una prima che vede il massiccio ingresso di codici di origine fiorentina, fino alla metà degli anni ’70 del Quattrocento, a opera della bottega di Vespasiano da Bisticci; una produzione superata con l’arrivo dei maestri padano-ferraresi che introducono un diverso linguaggio figurativo, dopo il 1474 – anno del conferimento a Federico del titolo di duca –, avvicendamento che è messo in relazione con la congiura dei Pazzi del 1478, nella quale Federico aveva forse giocato un qualche ruolo, fatto che portò alla rarefazione dei rapporti con Lorenzo il Magnifico, uno dei suoi interlocutori privilegiati per l’acquisizione di manoscritti; la nascita e lo sviluppo, dai contorni non ancora completamente chiariti, del cosiddetto scriptorium di Urbino che dà vita a un parlare artistico costruito su molti apporti diversi e che, come si vedrà più avanti, ha un profilo estremamente variegato. Al fine quindi di comprendere con maggiore efficacia alcune delle proposte critiche espresse in questa sede – diffusamente esposte nelle singole schede che accompagnano i codici –, si è ravvisata la necessità di offrire al lettore un quadro sintetico, ma si spera esaustivo, degli aggiustamenti di rotta e, in qualche caso, delle vere e proprie novità emerse dallo studio condotto in questi anni.

La biblioteca di Federico, più di altre collezioni coeve, può allora considerarsi una summa dell’illustrazione libraria del sec. XV, poiché non solo riflette i gusti e le necessità – anche di autolegittimazione – del committente (o di chi in sua vece ne cura le acquisizioni), ma offre uno spaccato di ciò che in quei decenni diviene, di volta in volta, à la page nella produzione del libro manoscritto e miniato.