La Biblioteca di un 'principe umanista' Federico da Montefeltro e i suoi manoscritti [di M.G. Critelli]

Urb.lat.326

Informazioni sul manoscritto

Resource type:
Manuscript
Collection:
Urb.lat.
Segnatura:
Urb.lat.326
Biblioteca:
Biblioteca Apostolica Vaticana
Datazione:
sec. XV ex
Data inizio:
1474
Data fine:
1482
Paese:
Italia
Localita:
Urbino
Materiale:
membr.
Altezza:
378
Larghezza:
241
Numero fogli:
III. 219. I
Nota generale:
Giovanni Antonio Campano, Vita et res gestae Braccii Fortebraccii.
Exhibit Tags:
Giovanni CorentiLegature originaliIniziali miniate

Descrizione

Collazione:
23 fascicoli: 1-8 quinioni (ff. 1-10, 11-20, 21-30, 31-40, 41-50, 51-60, 61-70, 71-80), 9 quaternione (ff. 81-88), 10-16 quinioni (ff. 89-98, 99-108, 109-118, 119-128, 129-138, 139-148, 149-158), 17 quaternione (ff. 159-166), 18-20 quinioni (ff. 167-176, 177-186, 187-196), 21 quaternione (ff. 197-204), 22 quinione (ff. 205-214), 23 ternione (ff. 215-219 [-1]). Bianchi i fogli di guardia, membranacei.
Impaginazione:
Testo a piena pagina; rr. 30/ll. 29, la scrittura inizia sotto la prima riga. Rigatura a secco (tipo Derolez 33). Specchio rigato (f. 13r): 378 (40+234+104) x 241 (36+8+111+8+78) mm. Foratura non visibile.
Foliazione:
Manuale, apposta in inchiostro bruno nell’angolo superiore destro dei ff. 1-219; fogli di guardia non numerati.
Scrittura - Nota:
Umanistica di mano di Federico Veterani - copista di Federico da Montefeltro -, come dichiarato al f. 219v (cf. Colophon); discussa è la sua attività di miniatore. Egli fu inoltre autore di componimenti e versi d’occasione in latino e italiano. Insieme a Matteo Contugi fu uno dei copisti più noti e attivi alla corte di Urbino. In una nota all’Urb. lat. 419 (f. 161r), databile 1471-1472, afferma che tale manoscritto fu il primo da lui copiato, quando era adolescente, sebbene rivendichi lo stesso primato in una nota aggiunta all’Urb. lat. 651 (f. 136v), datato 1471. In una nota all’Urb. lat. 351 (f. CCCLXXXIIr) afferma di aver vergato più di 60 manoscritti e che questo fu l’ultimo codice da lui esemplato, a causa della morte di Federico («et cu(m) circiter sexaginta volumina exaraverit ultimu(m) hoc fuit ob principis interitu(m) cuius eterne dolendu(m) est», f. CCCLXXXIIr). Morì sicuramente dopo il 1526 poichè nell’Urb. lat. 324 (f. 216v) ricorda la morte di Elisabetta Gonzaga, avvenuta quell’anno. Per tutte le sue sottoscrizioni cf. Bénédictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux, II, p. 123-126, nn. 4518-4544; De la Mare, New research, p. 449 nt. 224; Derolez, La codicologie des manuscrits, I, p. 136 nr. 119 e II, p. 132-138. Cf. inoltre Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. XXIV-XXVIII; Clough, Federigo Veterani, p. 772-783; Fachechi, Federico Veterani, p. 989; Fumian, Autografia, prassi di bottega, p. 55-66. Il codice presenta frequenti note marginali di mano dello stesso copista a correzione del testo (es. ff. 62r, 119r, 173v, 191r); note marginali dal modulo piccolo e dal ductus corsivo, di diverse mani, hanno spesso funzione di notabilia (es. ff. 34v, 47r, 146v, 180v-181r). Una sola nota è in volgare (f. 148v: «Credo che tu vogli dire el capuzazo a la perusina, altramente io non te intendo», in riferimento all’espressione di Campano «puniceum involucrum»); altre si distinguono per l’erudizione (es. f. 174r, dove si ricorre a un passo di Gellio per spiegare la differenza tra “maturitas” e “celeritas”: «In quo differat maturitas a celeritas vide A. Gelliu(m) libro X C X [et cetera]», Noctes Atticae, X, 11); a riguardo si veda la prefazione di Valentini all'edizione di G. A. Campano, Braccii Perusini vita et gesta, Bologna 1929, p. XVIII, dove si osserva che il manoscritto «come tutti i codici copiati dal Veterani, è poco corretto, arbitrario nelle interpolazioni, lacunoso per brevi omissioni dovute alla disattenzione del copista». Sono inoltre presenti maniculae (es. ff. 6r, 108v, 203v) e notabilia indicati mediante l’apposizione della lettera N nel margine (es. ff. 6r-v, 63v, 177r).
Decorazione - Nota:
1 pagina di incipit (f. 1r) incorniciata da un listello in foglia d’oro che inquadra un’edicola architettonica, ornata da lesene, fregi all’antica in monocromo, elementi desunti dal linguaggio dell’antiquaria, putti giocosi tra festoni laureati e cornucopie; sullo sfondo, paesaggio su cui spicca il profilo di una città merlata, probabilmente Urbino; a bas-de-page, due creature celestiali ammantate all’antica sorreggono il simbolo dell’Ordine della Giarrettiera, all’interno del quale l’aquila coronata mostra lo stemma ducale di Federico di Montefeltro; rubrica su cinque linee di scrittura, a lettere alternate in blu e in oro; sull’architrave dell’edicola si legge, in lettere capitali, "IO(H)ANES CHORE(N)TI OPVS". 7 iniziali maggiori accompagnate da scrittura distintiva (mm 60x57, media), 1 (f. 2r) con corpo tridimensionale e in foglia d’oro, all’interno di uno spazio architettonico che simula lo studio di Giovanni Antonio Campano, intento alla scrittura; 6 iniziali (ff. 3r, 32r, 71v, 113r, 153v, 184v) con corpo in lamina metallica aurea entro un campo decorato a cappio intrecciato di volta in volta in porpora, in blu, in verde; tre di esse (ff. 32r, 113r, 153v), nello spazio centrale, su fondo porpora, presentano in lettere d’argento la scritta FEDE / DVX, FEDERI / DVX, FED / DVX.
Legatura -Nota:
Legatura originale con coperta in pelle marrone chiaro (l’“Indice vecchio” la definisce «In Rubro», cf. Storia), su assi di legno, con ricca decorazione a motivi geometrici e floreali impressi in oro e a secco, con minuti ferri, su entrambi i piatti. Al centro di questi, è miniata su fondo in lamina d’oro l’aquila feltresca che sostiene il relativo stemma ducale (caricato di palo centrale di rosso con triregno e chiavi), entro tondi protetti da una lamina trasparente di corno o mica (cf. De Marinis, La legatura artistica, I, p. 85 n. 951). Due bindelle in velluto di seta rosso sui tagli di testa (con puntale) e di piede; sul piatto anteriore, al centro del taglio laterale, residuo di bindella in tessuto broccato di seta rosso con oro; sul piatto posteriore 3 contrograffe a forma di valva di conchiglia. Dorso a 6 compartimenti, delimitati da 5 doppi nervi; nel primo compartimento frammento di etichetta a stampa con indicazione del contenuto (“Campa[ni] Opera”); nel secondo segnatura a penna “326”; nel sesto frammento di un’etichetta cartacea, quasi interamente perduta, consistente nel bollettino di trasferimento elaborato e incollato sul codice al momento del trasporto dei volumi da Urbino in Vaticana, con indicazione di «scanzia», ordine e numero che il manoscritto occupava ad Urbino, del numero della cassa utilizzata per il trasferimento e del numero che il codice occupava al suo interno – secondo le indicazioni date dall’allora primo custode della Vaticana Lucas Holste, che per l’occasione nel 1657 fece approntare un inventario (l’attuale Vat. lat. 9475) in cui vennero registrati i medesimi dati presenti sulle etichette apposte sui codici (cf. Peruzzi, «Lectissima politissimaque volumina», p. 372). Tagli dorati.
Segnature di fascicoli:
Numerazione da I a XXII, con cifre romane precedute dalla lettera Q, apposta nell’angolo inferiore destro del verso dell’ultimo foglio dei fascicoli, all’interno della colonnina di giustificazione, di seguito ai richiami; il fascicolo 9 è segnato erroneamente QIV (f. 88v) anziché QIX. Tale indicazione, su imitazione di modelli antichi, ricorre in diversi codici vergati da Veterani (es. Urb. lat. 349, 419, 420, 651; cf. Derolez, La codicologie des manuscrits, I, p. 40, 42).
Verba reclamantia:
Richiami verticali nel senso alto-basso, vergati con lo stesso inchiostro del testo nel margine inferiore del verso dell’ultimo foglio dei fascicoli, all’interno della colonnina di giustificazione.
Stemma:
Araldica di Federico di Montefeltro: f. 1r, entro il simbolo dell’Ordine della Giarrettiera, stemma inquartato e sorretto dall’aquila coronata, nel I e nel IV d’oro all’aquila imperiale di nero coronata nel campo, nel II e nel III bandato d’azzurro e d’oro all’aquila di nero sulla I banda d’oro, caricato di un palo centrale di rosso con triregno e chiavi decussate, sormontato da corona; fiammelle inquartate con le lettere FD, collare d’oro formato da are accese fra due mete e da tronchi germoglianti.
Motto:
f. 1r, "Hony soyt qui mal y pense", in lettere gotiche all’interno del simbolo dell’Ordine della Giarrettiera.
Nota:
Per questo ms. cf. anche E. Ponzi, Urb. lat. 326, in Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana. II. I manoscritti Urbinati, a cura di S. Maddalo - E. Ponzi, con la collaborazione di C. Paniccia, Città del Vaticano (Studi e testi), in corso di elaborazione.
Lingua:
Latino.
Alfabeto:
Latino.
Colophon:
Al f. 219v: “Divo duci et imper(atori) Fed(erico) Mon(te)fel(trensi) Federicus de Veteranis Urbinat(is) tra(n)scripsi”; segue, in altro inchiostro, aggiunto dallo stesso Veterani dopo il 10 settembre 1482, giorno in cui morì Federico da Montefeltro: “sed heu miserrima(m) sortem meam cum paulo post eo defu(n)cto spes premiu(m) facultas o(mn)iaq(ue) simul defu(n)cta s(un)t” (cf. Bénédictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux, II, p. 123 n. 4521; Derolez, La codicologie des manuscrits, II, p. 133 n. 939).
Storia:
Il manoscritto fu esemplato per Federico da Montefeltro - il cui stemma ducale è presente al f. 1r e sui piatti - poco prima della sua morte (avvenuta nel 1482) da Federico Veterani, come attestano la sottoscrizione e l’aggiunta posteriore dello stesso Veterani al f. 219v, vergata poco dopo la morte del duca, evento per il quale il copista esprime tristezza e allo stesso tempo rammarico per il mancato compenso (sulle note aggiunte nei codici urbinati dal Veterani, soprattutto dopo la morte del suo signore, si veda Michelini Tocci, I due manoscritti, p. 211 n. 3). Il codice contiene la Vita di Braccio Fortebracci di Montone di Giovanni Antonio Campano e, insieme agli Urb. lat. 324, 325 e 338, latori di altre opere dello stesso autore, comprende l’intera produzione letteraria dell’umanista; in particolare, i tre manoscritti con segnatura consecutiva formano un nucleo omogeneo anche dal punto di vista della manifattura, costituendo forse un tributo all’autore ancora vivente o un omaggio postumo alla sua memoria (morì nel 1477). I rapporti tra il duca di Urbino e Giovanni Antonio Campano erano stretti - si conoscevano fin dal 1459 - e si rafforzarono in seguito alla morte di Battista Sforza (1472), la moglie di Federico, per la quale il poeta compose un’orazione funebre (contenuta nel codice Urb. lat. 324, ff. 1r-17r). Il codice è registrato nel cosiddetto “Indice vecchio”, compilato intorno al 1487 dal bibliotecario Agapito (Urb. lat. 1761, f. 69r: «Campani Oratoris Excellentissimi Vita Braccii Imperatoris exercitus Victoriosissimi. Codex ornatissimus In Rubro»; edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. CXIX, nr. 485). La collezione dei duchi di Urbino giunse in Vaticana nel 1657 sotto il pontificato di Alessandro VII. Timbri della Biblioteca Apostolica Vaticana ai ff. 1v, 3r, 219v.
Bibliography:
Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1-500, p. 295.
Altro nome:
Federico da Montefeltro, duca d'Urbino, 1422-1482 [owner]
Veterani, Federico, m. dopo il 1526 [scribe]
Corenti, Giovanni, sec. XV ex [artist]
Altro autore:
Stornajolo, Cosimo, sac., 1849-1923 [external]
De Marinis, Tammaro, 1878-1969 [external]
Derolez, Albert [external]
Critelli, Maria Gabriella [external]
Michelini Tocci, Luigi, 1910-2000 [external]
De la Mare, Albinia Catherine, 1932-2001 [external]
Valentini, Roberto, 1880-1952 [external]

Testo del curatore

Codice di formato medio-grande, tramanda Vita et res gestae Braccii Fortebraccii di Giovanni Antonio Campano, al f. 219v, è firmato da Federico Veterani e per questo databile agli anni ’80 del Quattrocento. Un’altezza cronologica che trova conferma anche nella facies del ricco apparato illustrativo, concentrato soprattutto nella pagina di incipit (f. 1r) e assegnato a Giovanni Corenti, figura dal profilo ancora problematico per l’assenza di materiale documentario utile a definire con maggiore chiarezza i contorni della sua vita e, in particolare, della sua attività artistica. Giunto probabilmente a Urbino sulla scia degli altri miniatori padano-ferraresi, Giovanni Corenti potrebbe aver svolto nell’ambiente di corte dei Gonzaga la sua prima attività, costruita in primo luogo sull’osservazione delle opere monumentali di Andrea Mantegna (Marcon, Corenti, Giovanni, pp. 175-176; Toniolo, I miniatori ferraresi, pp. 79-89) e poi sui modi del miniatore Giovanni Vendramin (Bentivoglio-Ravasio, Vendramin, Giovanni, pp. 982-988; Fumian, Scheda nr. 13, p. 199). È infatti innegabile che l’animata imagerie padano-ferrarese sia il presupposto, tecnico e visivo, del suo costruire la pagina. Egli spinge tuttavia in avanti gli esiti della sua ricerca artistica, componendo vivaci e complesse architetture dipinte, giocate sulla presenza di «scultura-gioiello in finto bronzo» (Toniolo, I miniatori ferraresi, pp. 85-86), in combinazioni che dimostrano una volta di più quanto l’antiquaria sia stata un linguaggio di amplissima diffusione e in continua metamorfosi, costruita sulle contaminazioni visive. Per la libraria urbinate, l’artista lavora agli Urb. lat. 324 e Urb. lat. 325 che, insieme all'Urb. lat. 388 decorato da un diverso miniatore ed entrato prima in biblioteca, costituiscono un corpus di opere di Giovanni Antonio Campano; altro esemplare assegnabile a Corenti è infine l'Urb. lat. 353, un Virgilio trascritto da Federico Veterani, anch’esso di grande pregio.

I codici a lui attribuiti si fanno derivare, per confronto stilistico, proprio dall'Urb. lat. 326: il miniatore lascia infatti il suo nome – «Ioanes Chorenti opus» (cfr. Fumian, Scheda nr. 13, pp. 196-199, anche per le questioni relative all’onomastica di Corenti) – realizzato come fosse una scrittura epigrafica in capitale all’interno della raffinatissima struttura architettonica dipinta sulla pagina. Nonostante l’esigua produzione fino a oggi individuata, egli è senz’altro un artista che padroneggia con profonda solidità gli strumenti del suo mestiere, sia materiali – su tutti, la grande perizia nell’utilizzo dell’inchiostro d’oro, usato a profusione per rialzare superfici, per definire dettagli, per donare luce a minutissimi paesaggi – sia quelli collegati alla costruzione figurativa della pagina. Egli adotta di preferenza cornici riccamente decorate o veri e propri inquadramenti architettonici di grande impatto visivo, come nel caso appunto dell’Urb. lat. 326. Il f. 1r si può definire come un vero e proprio esempio di pittura su pergamena, con una costruzione dell’inquadratura di grande raffinatezza. La struttura dell’arco trionfale non è centrale rispetto alla geometria del foglio e la candelabra-gioiello in primo piano, con il basamento tagliato dalla cornice, sfonda lo spazio, attirando in tal modo lo spettatore all’interno del campo dipinto. Il reticolo di linee ortogonali sul marmo del pavimento guida l’occhio del riguardante fino al paesaggio infuocato, oltre la struttura architettonica e oltre il finto foglio membranaceo, creando in tal modo un forte effetto illusionistico – chi guarda non vede realmente il panorama al di là dello specchio scrittorio, ma ‘sa’ che esso è lì dietro. L’idea della terza dimensione è inoltre suggerita dallo spazio riservato all’iniziale, vera e propria nicchia prospettica che avvolge Giovanni Antonio Campano e il suo studio, con una serie di elementi che concorrono alla definizione dei volumi dell’ambiente: le linee del soffitto ligneo a cassettoni, la mensola che passa dietro le due gambe della V, le ante aperte dello scrittoio-leggio che a loro volta isolano una sotto-nicchia. Sembra inoltre di poter ravvisare suggestioni visive dalle opere di Bartolomeo Sanvito (Maddalo, Sanvito e Petrarca; Bentivoglio-Ravasio, Sanvito; de la Mare - Nuvoloni, Bartolomeo Sanvito, passim) per la realizzazione del corteo trionfale in monocromo collocato nell’attico, di certo riferimento ai contenuti dell’opera tramandata nel codice.

Bibliografia generale

Descrizioni interne

1r-219v

Campano, Giovanni Antonio, Vita et res gestae Braccii Fortebraccii libri I-VI

Datazione:
sec. XV ex
Data inizio:
1476
Data fine:
1482
Paese:
Italia
Localita:
Urbino
Locus:
1r-219v
Autore:
Campano, Giovanni Antonio, vesc. di Teramo, 1429-1477 [internal]
Titolo supplito:
Vita et res gestae Braccii Fortebraccii libri I-VI
Titolo uniforme:
Vita et res gestae Braccii Fortebraccii (Campano, Giovanni Antonio, vesc. di Teramo, 1429-1477)
Rubrica:
Ioannis Antonii Campani viri eloquentissimi in vita(m) et res gestas Braccii Fortebraccii praefacio [sic] incipit foeliciter [sic]
Incipit testo:
Bracciorum familiam sunt qui in Brachinos (f. 3r)
Incipit prefazione:
Vitam et res gestas Braccii scripturus si nihil aliud (f. 1r)
Explicit testo:
ducis et principis gratissima in patria testantur (f. 219v)
Explicit prefazione:
diuturnitatis excitaremus ad gloriae decus (f. 2v)
Nota:
La biografia scritta da Giovanni Antonio Campano di Braccio Fortebracci di Montone, noto signore di Perugia e capitano di ventura, è suddivisa in sei libri. Ai ff. 3r, 32r, 72v, 113r, 184v, in corrispondenza dell'inizio dei libri I, II, III, IV e VI, e al f. 153r, in corrispondenza della fine del libro IV (il V comincia al foglio seguente), sono stati lasciati spazi bianchi destinati a ospitare le rubriche, non realizzate. L’edizione curata da Valentini, oltre a utilizzare l’editio princeps di Michele Ferno (Romae, E. Silber, 1495), è basata su 4 manoscritti, tra i quali l’Urb. lat. 326, siglato U (sebbene giudicato “di valore molto inferiore” rispetto agli altri tre codici: Bibl. Univ. di Bologna n. 2360, Vat. lat. 2048, Chig. J. VII. 255). Valentini cita anche un quinto manoscritto, il Laurenziano Ashburnh. n. 968, che però non utilizza perché copia di mano dello stesso Veterani datata 1483, e quindi di circa un anno posteriore rispetto al codice urbinate.
Lingua:
Latino.
Alfabeto:
Latino.
Altro nome:
Braccio da Montone, Andrés, 1368-1424 [person]
Altro autore:
Valentini, Roberto, 1880-1952 [external]
Fonte:
IAM30.3 - Codices Urbinates Latini, recensuit C. Stornajolo, tomus I: Codices 1-500, Romae 1902, p. 295.