La maiuscola alessandrina
Il secondo canone antico della maiuscola libraria viene oggi comunemente chiamato "alessandrino", a scapito della vecchia denominazione "copto", ritenuta ormai impropria in quanto la scrittura copta è derivata da una maiuscola greca di questo tipo e non viceversa. Il nome odierno possiede però un pedigree che risale anche molto più indietro nel tempo della stessa nostra disciplina, essendo derivato da un aneddoto a proposito del patriarca di Costantinopoli Fozio I, il quale, nel nono secolo, nel contesto di un intrigo politico, avrebbe falsificato un documento, scrivendolo “in lettere alessandrine” (γράμμασιν Ἀλεξανδρίνοις) per farlo sembrare molto antico. G. Cavallo dimostrò ("Γράμματα Ἀλεξανδρῖνα", in Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistik 24 [1975], pp. 23-54, rist. in Il calamo e il papiro, pp. 175-202) che la scrittura di cui si parla in questa storia sul patriarca Fozio era quasi certamente quella che stiamo per studiare. Questa scrittura ha inoltre un legame obiettivo con l'Egitto e più particolarmente con la città di Alessandria, in quanto alcuni esemplari conservati delle "Lettere festali" che dal III secolo in poi furono pubblicate annualmente dal Patriarca di Alessandria sono vergate in maiuscola alessandrina, come vedremo più avanti.
Il tipo più comune di maiuscola alessandrina presenta le seguenti caratteristiche, che si osservano ad es. nelle parole θαυμάσια καὶ (dal Vat. gr. 2125, p. 91 [Gioele 3:26]):
- asse verticale;
- forte contrasto fra lettere strette (alpha, beta, epsilon, theta, iota, omicron, sigma, rho, e cioè tutte le lettere che sono tonde nella maiuscola biblica [epsilon, theta, omicron, sigma], e inoltre alpha, beta, iota e rho) e lettere larghe (tutte le altre): le prime si iscrivono in un rettangolo alto, meltre le seconde si iscrivono in un quadrato o anche in un rettangolo piatto;
- preferenza per le forme ricurve anziché angolose e presenza di molti occhielli (generalmente ciechi) e di ispessimenti alle estremità dei tratti;
- tendenza a prolungare i tratti obliqui discendenti lungo la linea base in modo che si accostano alla lettera successiva ("pseudo-legature");
- morfologie particolari delle lettere alpha (scritta in un unico tempo oppure in modo tale da dare l'impressione di essere così scritta), my (con una curva lunga al posto dei due tratti obliqui) e hypsilon (con un occhiello al posto del tratto discendente, in modo che la lettera rientri nello schema bilineare).
Il contrasto fra pieni e filetti non è una costante in questa scrittura (anche se si trova in alcuni esemplari), ma vi è comunque un effetto di chiaroscuro prodotto da una raffinata disposizione degli occhielli e degli ispessimenti.
Ciò che abbiamo descritto fin qui è in realtà solo uno dei due "tipi" di maiuscola alessandrina, e cioè il tipo che viene definito "plurimodulare", in quanto il modulo delle lettere varia fra lettere larghe e lettere strette. L'altro tipo è quello "unimodulare", con un modulo costante e lettere più o meno quadrate, paragonabili a quelle della maiuscola biblica; lo si vede nel campione 7 del collage in alto della pagina sulle scritture maiuscole (il campione proviene dal Borg. copt. 109, di cui se vedono altre pagine qui. In questa sede non ci soffermeremo oltre su quest'ultimo tipo di scrittura, perché è molto improbabile trovarlo in un manoscritto greco membranaceo o cartaceo.
Gli esempi più precoci di maiuscola alessandrina sono papiri databili al II secolo d.C. Non sembra essere impiegata come scrittura libraria normale dopo il VII secolo, ma continua in uso per un lungo ulteriore periodo come Auszeichnungsschrift (e cioè come "scrittura distintiva" per i titoli ecc.; per un esempio del X secolo, si vedano i titoli del Vat. gr. 1613). Gli unici punti di riferimento veramente attendibili per la datazione della maiuscola alessandrina come scrittura libraria sono due delle già menzionate Lettere festali e cioè il P. Grenf. 2,112, il quale, sulla base delle date che indica per Pasqua, deve risalire o al 577 d.C. o al 672 d.C. (ulteriori informazioni su questo papiro si trovano qui); e il P. Berol. 10677, che per analoghi motivi deve risalire o al 713 o al 719 d.C. Cavallo ha analizzato attentamente le differenze fra le scritture di questi due papiri (Γραμματα …, pp. 45-6 = Il calamo …, pp. 194-5), interpretandole in termini di uno sviluppo cronologico, il che lo costringeva a sostenere che il P. Grenfell è da datarsi all'anno 577 piuttosto che al 672 (in quest'ultimo caso sarebbe infatti pressoché contemporaneo del papiro di Berlino). Essendo solo due i campioni, tale interpretazione è naturalmente alquanto azzardata, anche se si accetta la datazione proposta da Cavallo (è ovvio che anche due scribi contemporanei potevano avere scritture diverse); in ogni caso lo sviluppo che si desume da tale interpretazione (e che sembra comunque non improbabile) andrebbe nella direzione di un sempre maggiore contrasto modulare (fra lettere larghe e lettere strette) e di una sempre maggiore presenza di occhielli e di ispessimenti terminali nel corso del tempo; insomma, più la maiuscola alessandrina appare "barocca" e più diventa probabile una datazione recente.
Per guadagnare familiarità con questa scrittura, si potrà studiare e trascrivere uno dei più importanti manoscritti vergati in maiuscola alessandrina, e cioè il cosiddetto Codice Marchaliano dei profeti dell'Antico Testamento (Vat. gr. 2125), del quale si vede qui sotto un campione. Si noterà in questo codice anche un'ulteriore caratteristica "barocca", oltre a quelle notate sopra, e cioè l'ingrandimento ornamentale (talvolta fino a proporzioni enormi) della lettera phi. Questo manoscritto viene generalmente datato intorno all'anno 700 d.C., sulla base principalmente della somiglianza fra la sua scrittura e quella del già menzionato P. Berol. 10677. (Da notare che gli accenti e gli spiriti in questo codice non risultano attribuibili allo scriba originario; non è possibile precisare quando furono aggiunti).
Vat. gr. 2125 (schermata iniziale: p. 388, Geremia 14:14-18)