Come citare un manoscritto greco
Il modo corretto di citare un manoscritto consiste nel nominare la città e la biblioteca in cui si conserva, seguite (eventualmente) dal fondo a cui appartiene all'interno della biblioteca, e quindi dalla segnatura, ad es. "Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Grec 123"; "Oxford, Bodleian Library, Barocci 456"; "Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano greco 789" (il corsivo è talvolta usato per le collezioni).
Tale notazione è piuttosto ingombrante e, in molti contesti, anche ridondante e pedante. Di conseguenza, quando non vi è alcun rischio reale di confusione, è prassi comune abbreviarla drasticamente. Non si può veramente dubitare, per esempio, dell'identità del manoscritto che si intende designare quando si scrive "Vat. gr. 123" (si tratta ovviamente del manoscritto Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticano greco 123), o "Barb. gr. 456" (= Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barberiniano greco 456; non esiste, in effetti, alcuna collezione "Barb." in un'altra biblioteca). C'è ancora spazio per la pedanteria, tuttavia, poiché il modo più comune di abbreviare il nome di un manoscritto consiste nell'usare il demonimo latino della città in cui è conservato, ad es. Genavensis (di Ginevra); Genuensis (di Genova); Glascoviensis (di Glasgow), ecc. Se non viene specificata alcuna biblioteca, di solito si fa riferimento alla biblioteca più grande della città; quindi "Londin." (Londinensis) si riferisce alla British Library di Londra; "Monac." (Monacensis) si riferisce alla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco; "Oxon." (Oxoniensis) si riferisce alla Bodleian Library di Oxford; "Par." o "Paris." (Parisinus) si riferisce alla Bibliothèque Nationale de France di Parigi; "Scorial." (Scorialensis) si riferisce alla Real Biblioteca de El Escorial vicino a Madrid; "Vindob." (Vindobonensis) si riferisce alla Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (i demonimi sono sempre maschili, poiché si accordano con la parola codex, che è sottointesa). Quando una collezione all'interno di una biblioteca ha un nome ufficiale in una lingua moderna, è comunque consuetudine, in abbreviazioni di questo genere, latinizzarlo (quindi "Parisinus graecus 123" significa "Parigi, Bibliothèque Nationale de France, grec 123 ", e "Vaticanus graecus 456" significa "Città del Vaticano, Bibiloteca Apostolica Vaticana, Vaticano greco 456").
Alcune biblioteche sono convenzionalmente indicate dai loro nomi in modo simile. Pertanto, un manoscritto conservato presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano non viene generalmente chiamato Mediolanensis ma piuttosto Ambros. = Ambrosianus; allo stesso modo un Laur. = Laurentianus sarà un volume appartenente alla Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze; un Marc. = Marcianus sarà un volume della Biblioteca Nazionale Marciana (o Biblioteca di San Marco) di Venezia. L'abbreviazione Pal. gr. (Palatinus graecus) è ambigua, dal momento che può riferirsi a raccolte a Heidelberg o in Vaticano (o addirittura a Parma, la cui biblioteca principale si chiama pure "Biblioteca Palatina"; tuttavia, i suoi volumi sono generalmente indicati come Parmenses); in questo percorso, "Pal." fa riferimento alla collezione vaticana, a meno che non sia specificato Heidelb(ergensis).
Il modo in cui i manoscritti vengono classificati varia molto da una biblioteca all'altra e non esiste un sistema standard paragonabile al sistema decimale Dewey o alla classificazione della Library of Congress per gli stampati. Molte biblioteche (come la Biblioteca Medicea Laurenziana a Firenze o la Biblioteca Ambrosiana a Milano) usano ancora un sistema topografico tradizionale in cui i singoli armadi o scaffali in cui sono conservati (o in cui una volta erano conservati) i manoscritti sono numerati e i manoscritti sono a loro volta numerati per la loro posizione all'interno di quell'unità: quindi, nella Laurenziana, una segnatura come "Plut. 12.34" indica il trentaquattresimo volume nella scrivania (pluteus) numero 12; gli armadi dell'Ambrosiana (che sono "letterati" anziché numerati) sono divisi tra una sezione superiore e una inferiore, da cui l'aggiunta "inf". e "sup." alla fine di ogni loro segnatura.
Molte biblioteche conservano più di un fondo all'interno della loro collezione, sia perché i volumi sono classificati per contenuto e/o per lingua (così la raccolta originale della Biblioteca Vaticana, quella dei "Vaticani", si distingue in "Vaticani greci", "Vaticani latini ", " Vaticani arabi ", " Vaticani ebraici ", ecc.; allo stesso modo "Grec", "Latin", ecc. presso la Bibliothèque Nationale de France; "Phil. Gr.", "Theol. Gr.", ecc., presso la Biblioteca nazionale austriaca) o perché le raccolte che giungono intere nella biblioteca mantengono il nome della biblioteca a cui appartenevano in precedenza (i fondi della Biblioteca Bodleiana e della British Library sono per lo più nominati per la persona o la famiglia che li lasciò in eredità, li donò o li vendette alla biblioteca, ad esempio la collezione Harley, che il British Museum [di cui la British Library faceva allora parte] acquistò nel 1753 dalla contessa Henrietta Cavendish Harley, o la collezione "Barocci" [Barocc. è l'abbreviazione di Baroccianus], che fu raccolta nel Seicento da Francesco Barozzi e successivamente acquistato dai suoi eredi da parte di William Herbert, che la donò poi alla Bodleiana nel 1629; allo stesso modo, la Biblioteca Vaticana ora include, fra molte altre, le biblioteche delle famiglie Barberini e Chigi, che un tempo erano in concorrenza con la collezione papale). All'interno di ciascun fondo, i volumi possono essere semplicemente numerati (a partire da 1), come lo sono i Vaticani greci e il Barberiniani greci; a volte sono conservati le vecchie segnature che si riferiscono alla topografia della biblioteca di origine, come nel fondo Chigi della Biblioteca Vaticana, che reca ancora le segnature che si riferiscono topograficamente agli armadi della biblioteca della famiglia Chigi.
Per alcune raccolte, esiste più di un modo possibile per fare riferimento a volumi specifici: ad esempio, il fondo Chigiano della Biblioteca Vaticana (spesso latinizzata in "Chisianus"), che non è ordinata per lingua, ha segnature piuttosto insolite (come spiegato qui sopra), per cui, per citare uno dei Chigiani greci, gli studiosi a volte preferiscono riferirsi al catalogo di P. Franco de' Cavalieri che descrive solo i Chigiani in lingua greca e li numera progressivamente (ad es. il manoscritto "Chis. R. V. 29" potrebbe essere indicato come "Chis. Gr. 23", poiché questo manoscritto ha ricevuto il numero 23 nel catalogo). Allo stesso modo, i manoscritti greci della Collezione Sinodale di Mosca (ufficialmente Синодальное собрание рукописей), che ora sono conservati presso il Museo storico statale (Государственный исторический музей), vengono spesso identificati per il numero che venne loro assegnato nel catalogo pubblicato dall'Archimandrita Vladimir nel 1894 anziché per la loro reale segnatura: così, il "Mosq. gr. 117 (Vlad.)" altro non è che il manoscritto "Mosca, Museo storico statale, Sinod. gr. 254".
Non esiste una vera convenzione per fare riferimento ai manoscritti conservati nei monasteri in Grecia; l'importante è evitare di abbreviare fino al punto di ambiguità. Ad esempio, "Vatop." e "Ivir." significano chiaramente le famose Μονὴ Βατοπεδίου e Μονὴ Ἰβήρων sul Monte Athos, mentre "Patm." si riferisce per forza all'unica raccolta sostanziale di manoscritti greci sull'isola di Patmos, vale a dire quella del monastero di San Giovanni il Teologo. D'altra parte, "Laur.", come riferimento alla Μονὴ Μεγίστης Λαύρας sul Monte Athos, potrebbe essere inteso come abbreviazione di "Laurentianus" (o anche genericamente per la parola λαύρα, che significa "monastero") e in questo caso è quindi meglio prefissare (almeno) "Ath." (e analogamente per i nomi dei monasteri meno noti dell'Athos come la Μονὴ Σταυρονικήτα, che potrebbe essere "Ath. Stauronic.").
In caso di eventuali dubbi sull'identità della collezione citata in una notazione abbreviata o su come abbreviare una citazione, una guida molto utile si trova nella riedizione da parte di J.-M. Olivier del Répertoire des bibliothèques et des catalogues de manuscrits grecs di Marcel Richard (1995, con due volumi di supplementi pubblicati nel 2018), che elenca le biblioteche che possiedono manoscritti greci e indica i cataloghi a stampa che li descrivono.
Un altro modo per scoprire quali fondi sono conservate in una biblioteca consiste nell'utilizzare la pagina "Rechercher des manuscrits" sul sito web Pinakes (ospitato dall'Institut de Recherche e d'Historire des Textes a Parigi). Compilando i campi "Pays" ("Paesi"), "Villes" ("Città") e "Dépôts" ("Biblioteche"), si ottiene nel campo "Fonds" un menù a discesa che elenca le "collezioni" che sono presenti in quella biblioteca (ovviamente si può anche usare questa pagina per lo scopo previsto, e cioè cercare informazioni su un manoscritto specifico!).