Paleografia greca dall'Antichità al Rinascimento [di T. Janz]

1. LE SCRITTURE MAIUSCOLE

Le scritture greche librarie più antiche, trovandosi in manoscritti di pergamena dal quarto secolo d.C. in poi (e molto prima su papiro), sono di un tipo che in genere si definisce maiuscolo (per opposizione alle scritture minuscole, che si affermano a partire dal IX secolo). Le lettere delle scritture maiuscole corrispondono generalmente a ciò che i principianti in lingua greca imparano a considerare, appunto, le "maiuscole" (quelle che si collocano all'inizio di un nome proprio, ad esempio). Sono tracciate una alla volta, senza tratti di collegamento fra di loro (mentre le lettere della scrittura minuscola appaiono generalmente collegate fra di loro) e si possono considerare "bilineari" (per opposizione alla minuscola, che è "quadrilineare"), nel senso che la maggior parte delle lettere si racchiudono fra due linee parallele orizzontali (immaginarie). Alcune lettere, generalmente ρ, υ, φ e ψ, hanno tratti che si estendono al di fuori dello schema bilineare (l'alfabeto che si vede qui sotto è scritto con il font "0512 Dioskurides", che è disponibile qui e che riproduce la scrittura del manoscritto Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Med. Gr. 1; può tuttavia considerarsi una esemplificazione generale dell'alfabeto maiuscolo greco):

Mellon 02J Majuscule alphabet.jpg
Alfabeto maiuscolo greco

Generalmente non è molto difficile decifrare le scritture maiuscole: chi sa il greco, sarà in grado di identificare la maggior parte o anche tutte le lettere nel seguente collage di scritture maiuscole del primo periodo bizantino.

Mellon 02J Majuscule confusion.jpg
Fonti: 1. Vat. gr. 2125, p. 190; 2. Vat. gr. 749 pt. 2, f. 121v; 3. ibid.; 4. Ott. gr. 2, f. 3r; 5. Vat. gr. 1666, f. 5v; 6. Vat. gr. 2066, f. 10v; 7. Borg. copt. 109 cass. XVIII fasc. 65, f. 6v; 8. Vat. gr. 1288, p. 23; 9. Vat. gr. 1209, p. 144.

È evidente, anche al primo sguardo, che vari stili di scrittura sono qui rappresentati, anche se la forma di ogni singola lettera rimane fondamentalmente la stessa in tutti gli esempi inclusi. È da tener presente che questo collage raffigura un campione molto limitato (e non necessariamente rappresentativo) dell'insieme dei manoscritti esistenti con scrittura in maiuscola greca. Bisogna tener presente anche il fatto che nessuno di questi manoscritti è databile o localizzabile con un qualsiasi criterio obiettivo, con un'unica eccezione: il campione n. 5 è databile precisamente all'anno 800 d.C., come vedremo. Il compito principale del paleografo — oltre a quello fondamentale di decifrare le scritture — consiste nel classificare l'infinita varietà di mani che osserviamo nei manoscritti che si sono conservati. (Spesso il paleografo cercherà anche di proporre una interpretazione della classificazione, ad es. in termini cronologici o geografici; e tali interpretazioni vengono naturalmente molto facilitate quando l'uno o l'altro dei manoscritti classificati si presta a una datazione o a una localizzazione obiettivi, per modo, ad es., di una sottoscrizione in cui vengono precisati data e/o il luogo della copia.) Se si volesse classificare le scritture del nostro collage (che sono, per ripetere, un campione molto piccolo di quelli esistenti e anche di quanto sarebbe osservabile in ognuno dei manoscritti rappresentati), si potrebbe osservare, ad esempio, che:

  • I campioni 1, 3, 4, 7, 8 e 9 hanno asse verticale, mentre i campioni 2 e 6 hanno asse inclinato a destra (il campione 5 sembra incerto fra asse verticale e inclinato);
  • Le lettere epsilon, omicron e sigma sono ovali stretti nei campioni 1, 2, 3, 4 e 6, mentre nei campioni 5, 7, 8 e 9 hanno forma circolare o quasi;
  • La giuntura centrale dei due tratti obliqui di my varia fra un tipo ricurvo (campioni 1, 6, 7) e un tipo acuto (campione 9), mentre gli altri campioni optano per una via di mezzo;
  • La coda di hypsilon sporge sotto la linea base nei campioni 2, 3, 4, 6, 8 e 9, mentre negli altri rimane sopra la linea di base;
  • Alpha risulta scritto in un tempo solo nei campioni 1 e 7; in due tempi nei campioni 2, 3, 4 e 5; e in tre tempi nei campioni 6, 8 e 9;
  • Delta presenta apici alla base (come Д nelle scritture cirilliche moderne) nei campioni 2, 3, 4, 5 e 6, ma non nei campioni 1, 7, 8 e 9.

È su osservazioni proprio di questo tipo che si basa la paleografia come disciplina; si nota, però, che nessuno dei criteri qui menzionati produce un raggruppamento uguale a quello di un altro criterio. Ulteriori criteri potrebbero essere presi in considerazione sulla base degli stessi campioni, e moltissimi altri potrebbero aggiungersi se i campioni fossero più grandi o più numerosi; ma il risultato sarebbe sempre lo stesso, anzi la varietà delle scritture e dei raggruppamenti possibili farebbe solo crescere e diventerebbe sempre più sconcertante a misura che si moltiplicherebbero i campioni, senza contare i controesempi che emergerebbero all'interno di un singolo manoscritto. Tale situazione non deve sorprendere, in quanto gli scribi agivano autonomamente: ogni mano che si osserva in un manoscritto apparteneva a un essere umano che aveva senz'altro imparato a scrivere in un luogo preciso e in un certo momento nel tempo, ma che possedeva anche caratteristiche personali proprie; che poteva scegliere di imitare (con o senza modifiche personali) questo o quell'altro aspetto di un modello di scrittura; e che aveva subìto, nel corso della sua attività di copista, l’influenza di una grande varietà di modelli di scrittura provenienti da vari luoghi e da vari tempi. Ne risulta che ogni classificazione di scritture comporterà necessariamente una parte di arbitrarietà; si potrebbe anche dire che la paleografia è più arte che scienza. E tuttavia, senza giungere a una rigorosità matematica, i tentativi di classificazione delle scritture hanno di fatto prodotto risultati utili e, in molti casi, anche verificabili.

Un momento decisivo nella storia della paleografia greca fu la pubblicazione nel 1967 del libro di Guglielmo Cavallo, Ricerche sulla maiuscola biblica. Pur essendo formalmente uno studio su un preciso "canone" di scrittura greca maiuscola, questo contributo definiva anche le caratteristiche di altri "canoni" (nel distinguerli da quello "biblico"); ma soprattutto si presentava come una specie di manifesto metodologico, invocando esplicitamente una teoria sul modo in cui le scritture si sviluppano e si modificano nel tempo (e cioè, la teoria proposta nel libro di G. Cencetti, Lineamenti di storia della scrittura latina, in particolare le pp. 51-56). La teoria del Cencetti parte dal concetto di una scrittura “usuale” che è quella della quotidianità in un dato tempo e luogo. Tale scrittura “usuale” è soggetta a continua evoluzione (per motivi sia culturali che tecnici) e costituisce lo sfondo in continua evoluzione o “clima” nel quale le scritture librarie e cancelleresche contemporanee si stabiliscono come “canoni”. (Cencetti disingueva poi fra “stili” [che si possono concettualizzare come modifiche facoltative ma sistematiche a un “canone”] e “tipi” [che sono simili ai “canoni” ma non raggiungono lo stesso livello di standardizzazione].) Secondo questa teoria, quindi, le scritture “canonizzate” — ad esempio la “maiuscola biblica” —, esibendo caratteristiche ben precise, sopravvivono di gran lunga allo stato momentaneo della mutevole scrittura “usuale” che le ha viste nascere, motivo per cui tendono a evolvere secondo uno schema più o meno prevedibile, comportando un iniziale periodo di formazione, seguito da ciò che si potrebbe definire la loro “maturità” (ma Cavallo preferisce parlare di “perfezione”), e infine da una fase di decadenza che si verifica quando la deviazione fra il canone ormai ossificato e la scrittura usuale in costante evoluzione diventa tale che gli scriventi non sono più in grado di produrre la scrittura canonizzata in modo naturale ed efficace.

L’applicazione di tale schema teorico alla storia della scrittura greca da parte di Cavallo ha prodotto risultati notevoli, anche se discutibili (e di fatto molto discussi). Da un lato, il ragionamento deduttivo che permea ogni angolo dello studio di Cavallo fa sì che la maggior parte delle sue affermazioni — dalle esemplificazioni delle forme delle lettere stesse (pp. 7-10), che non risultano riprodotte da nessuna fonte particolare ma rappresentano, a quanto pare, astrazioni idealizzate, frutto della sua (grande) esperienza con le fonti manoscritte, alle descrizioni di questo o quell'altro esempio della maiuscola biblica come appartenente ai periodi di “formazione”, di “perfezione” o di “decadenza” di tale scrittura — risultano prendere per scontato proprio ciò che sarebbe da dimostrare. D’altra parte, questo metodo ha permesso a Cavallo di prendere un gruppo consistente di manoscritti che non offrono alcun indizio sulle loro origini o sulla loro datazione (anche relativa) e di assegnare a ciascuno un posto assai preciso lungo un arco di sviluppo che venne interpretato in chiave cronologico, passando dalla formazione alla maturità alla decadenza. Poiché solo pochissimi dei manoscritti da lui studiati sono obiettivamente databili, l’unica “dimostrazione” possibile della validità della sua interpretazione è costituita dal fatto che “funziona”, nel senso che produce una classificazione plausibile di scritture che risultano altrimenti inclassificabili (bisogna aggiungere che i pochi manoscritti obiettivamente databili si collocano effettivamente “al posto giusto”, e cioè il P. Ryl. 16, prima di 255-6 ["perfezione", pp. 45-47]; il Vindob. Med. Gr. 1, circa 512 d.C. ["decadenza", pp. 94-97]; il Vat. gr. 1666, 800 d.C. ["decadenza", p. 107]; è da notare che l’intera ricostruzione della “formazione” del canone non è e non può essere confermata da alcun tipo di prova obiettiva per la mancanza di esemplari sicuramente databili). Nell’assenza di altre proposte, quello di Cavallo è diventato lo schema cronologico standard per la classificazione della scrittura detta “maiuscola biblica”. I paleografi seguono anche generalmente la divisione proposta da Cavallo delle scritture maiuscole più antiche in tre gruppi principali, e cioè la maiuscola biblica, quella alessandrina e quella ogivale (rispettivamente rappresentate, nel collage qui sopra, dai campioni 5, 8, 9; 1, 7; 2, 3, 4, 6), con l’ulteriore distinzione, all’interno dell’ultimo gruppo, fra ogivale diritto (campioni 3, 4) e ogivale inclinato (campioni 2, 6).

I due “canoni” più antichi della maiuscola greca sono la maiuscola biblica e quella alessandrina, che si vedono nei due manoscritti qui sotto (il passo biblico che si legge nella schermata iniziale di entrambi i manoscritti si trova nel libro di Isaia, cap. 61).

(sx.) Vat. gr. 1209 (schermata iniziale: p. 1058); (dx.) Vat. gr. 2125 (schermata iniziale: p. 325).

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