Urb.lat.9
Manuscript information
- Resource type:
- Manuscript
- Collection:
- Urb.lat.
- Shelfmark:
- Urb.lat.9
- Library:
- Biblioteca Apostolica Vaticana
- Date:
- sec. XV med
- Dated Mss:
- 4 aprile 1473
- Country:
- Italia
- Place:
- Firenze
- Support:
- membr.
- Height:
- 404
- Width:
- 278
- Extent:
- II. 174
- Content:
- “In hoc ornatissimo codice continetur psalterium litteris ebreis [sic] grecis et latinis” (f. [II]v).
- Overview:
- Salterio ebraico, greco e latino.
Description
- Collation:
- 18 fascicoli: 1-11 quinioni (ff. 1-10, 11-20, 21-30, 31-40, 41-50, 51-60, 61-70, 71-80, 81-90, 91-100, 101-110), 12 quaternione (ff. 111-118), 13-17 quinioni (119-148 [sic], 149-158, 159-168, 169-178, 179-188), 18 ternione (ff. 189-[194]). Fogli di guardia membranacei (ff. [I]-[II]; f. [II]v con antiporta miniata). Bianchi i ff. [I]r-[II]r, 193v-[194]v.
- Layout:
- Testo trilingue disposto su tre colonne; prevalentemente rr. 29/ll. 28, la scrittura inizia sempre sotto la prima riga, ma si osservano alcune eccezioni: rr. 29/ll. 29 (la scrittura continua sotto l’ultima riga tracciata, es. ff. 79v, 91r; al f. 90r solo nella colonna scritta in greco); rr. 29/ll. 27 (l’ultima linea non è stata scritta, es. ff. 93r, 96r); rr. 30/ll. 28 (è stata aggiunta una riga in basso, es. f. 116v). Rigatura a colore. Presentano rigatura anche i ff. 193v-[194]v, bianchi. Specchio rigato (f. 19r): 404 (52+234+118) x 278 (27+52+16+52+16+52+63) mm. Foratura non visibile.
- Foliation:
- Il codice presenta più foliazioni. Una in numeri arabi, di epoca moderna, è vergata in inchiostro bruno nell’angolo superiore destro dei ff. 1-193, con salto di numerazione di 20 numeri dopo f. 127, che è seguito dal foglio numerato 148; ff. [I]-[II] e [194] non numerati. Un’antica foliazione con lettere greche, quasi completamente rifilate, è spesso visibile sul recto dei fogli nell’angolo inferiore destro, ad es. ff. 101-110 (“ρα”-“ρι”, in alcuni casi rifilata); tale foliazione corrisponde a quella latina fino al f. 127 e prosegue correttamente senza l’errore commesso in quella numerazione (es. f. 160 è numerato con le lettere greche “ρμ”, ovvero 140).
- Writing - Note:
- Tre diversi copisti si sono avvicendati per vergare i salmi nelle tre lingue. Nella colonna di sinistra il testo latino è in una bella gotica rotonda. Nel testo greco, disposto nella colonna centrale, è riconoscibile la mano di Giovanni Scutariota, copista molto attivo a Firenze tra il 1442 e il 1494, per importanti committenti quali Niccolò V, Cosimo e Lorenzo de’ Medici, Marsilio Ficino, Palla Strozzi, Angelo Poliziano, Francesco Filelfo. A Scutariota si devono oltre 130 manoscritti, compresi 5 Urbinati greci (Urb. gr. 34, 36, 112, 114 e 115) e alcuni interventi in greco nell’Urb. lat. 196 (cf. D’Aiuto, Graeca in codici orientali, p. 252-256, che ne ha identificato la mano nel salterio; si vedano anche: Martinelli Tempesta, Il codice Milano, p. 172 nota 2; Id., Nuovi codici, p. 519-548; Németh, Il copista Giovanni Scutariota, p. 89-111; il codice non figura tra i codici attribuiti al copista in RGK, I, p. 108-110, nr. 183; II, p. 104 nr. 242; III, p. 120-121 nr. 302). Nella colonna di destra è stato vergato il testo ebraico, l’unico che presenta sottoscrizione (cf. Colophon), firmata da Aharon figlio di Gabriele (repertoriato in Freimann, Jewish Scribes, p. 247, per il solo codice urbinate).
- Decoration:
- Già ad apertura, il ms. rende immediatamente visibile la sua appartenenza alla libraria di Federico da Montefeltro: come accade infatti per la grande maggioranza dei codici del fondo Urbinate, il ms. presenta il dittico figurativo costituito dall’antiporta (f. [II]v) e dalla pagina di incipit (f. 1r). Sebbene molto citato (D’Ancona, La miniatura fiorentina, II/2, p. 574 nr. 1134; Peruzzi, Cultura potere immagine, p. 38, 63, 68, 73), esso ha goduto di una incredibilmente scarsa fortuna critica; da ultimo, Ada Labriola ne assegna l’apparato decorativo a due diversi artisti che, come in numerosi altri casi della collezione federiciana, lavorarono in compresenza (Labriola, Scheda nr. 1, p. 138-142). Per l’antiporta di f. [II]v, ella propone di individuare una prima personalità, che denomina Maestro del San Giovanni Crisostomo vaticano, dal codice Urb. lat. 32 contenente appunto i Sermones del patriarca costantinopolitano. La pagina di incipit (f. 1r) è invece da ricondurre a un secondo artefice, anch’egli ancora anonimo, che ella suggerisce di denominare Maestro del Salterio di Federico da Montefeltro (Labriola, Scheda nr. 1, p. 138-142; cf. anche Labriola, Un Breviario del 1476, p. 162). Entrambi i miniatori mostrano di essersi formati nel solco del magistero di Francesco di Antonio del Chierico e di Bartolomeo di Domenico di Guido, tra i maggiori esponenti dell’illustrazione libraria quattrocentesca, ma di aver poi saputo creare un loro linguaggio autonomo e ugualmente riconoscibile.
- Decoration - Note:
- 1 antiporta (f. [II]v) con clipeo con corona fitomorfa policroma (blu, rosa, verde, viola, giallo); 1 pagina di incipit (f. 1r) racchiusa su tutti e quattro i margini da una cornice fitomorfa policroma (blu, rosa, verde, viola, giallo), abitata da puttini, volatili, animali, rubriche in oro; 3 iniziali maggiori (f. 1r; mm 43x28, media), una abitata, una decorata con elementi fitomorfi, una campita in blu, verde e rosa, come tutte le iniziali minori (mm 10x10 ca.) presenti nel foglio; iniziali medie filigranate (mm 15x20 ca.) in blu e in rosso con filigrana del colore opposto; iniziali minori (mm 10x15 ca.) alternativamente in blu e in rosso, accompagnate da letterine guida per tutte le lingue (cf. ff. 10r e 19r, in particolare per l’ebraico, parzialmente rifilate con il margine esterno); titoli rubricati.
- Binding - Note:
- Coperta in pelle rossa su quadranti in cartone, decorata con cornice dorata a triplo filetto. Dorso a 7 compartimenti, delimitati da 6 doppi nervi. Nel primo compartimento antica segnatura “11 / VR∙B∙” (cf. Storia) impressa in oro, incorniciata da doppio filetto dorato; negli altri compartimenti elementi araldici (un monte di sei cime sormontato da una stella a sei punte) dello stemma di Alessandro VII Chigi (1655-1667), impressi in oro e inseriti in una cornice dorata a doppio filetto. Tagli dorati. La legatura è databile tra il 1657, anno di arrivo dei codici urbinati in Biblioteca Vaticana, e il 1667, anno di morte di papa Alessandro VII. L’“Indice vecchio” descrive una legatura «In corio viridi» (cf. Storia).
- Signatures:
- Tracce di numerazione interna al fascicolo (da 1 a 5) nell’angolo inferiore sinistro del verso dei fogli che compongono la prima metà dei fascicoli, spesso rifilata, es. ff. 1-5 (1-5), ff. 31, 33 (1, 3), f. 42 (2), f. 105 (5), ff. 111, 114 (1, 4), ff. 160, 161 (2, 3). Nell’angolo inferiore destro del recto di alcuni fogli tracce di altra numerazione in lettere ebraiche, che sembrerebbe anch’essa relativa ai fogli che compongono il fascicolo, f. 11 (א), f. 13 (ג), ff. 31-37 (ז-א). Nella stessa posizione, in alcuni casi, tracce di una numerazione a registro rubricata, es. f. 73 (“dd3”) e f. 103 (“hh[3]”), 105 (“hh5”).
- Catchwords:
- Richiami orizzontali, circondati da quattro trattini ornamentali, vergati con lo stesso inchiostro del testo nel margine inferiore del verso dell’ultimo foglio dei fascicoli al centro della colonna di sinistra, in latino.
- Heraldry:
- Araldica di Federico da Montefeltro: f. [II]v, bandato d’azzurro e d’oro di 6 pezzi, all’aquila di nero sulla prima banda d’oro visibile appena; f. 1r, inquartato, nel I e nel IV d’oro all’aquila di nero, nel II e nel III bandato d’azzurro e d’oro, ma privo dell’aquila di nero sulla I banda d’oro, accompagnato dalle lettere CF a biacca, scarsamente visibili.
- General note:
- Per questo ms. cf. anche S. Maddalo, Urb. lat. 9, in Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana. II. I manoscritti Urbinati, a cura di S. Maddalo - E. Ponzi, con la collaborazione di C. Paniccia, Città del Vaticano (Studi e testi), in corso di elaborazione.
- Language:
- Latino, greco, ebraico.
- Colophon:
- Il solo copista del testo in lingua ebraica si sottoscrive al termine del codice (f. 192v; cf. Bénédictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux, I, p. 5 n. 41): אני אהרן בן מה״ר״ר גבריאל הסופר כתבתי זה הספר אל השר הגדול הקונינו מאורבינו יר״הו וסיימתיו יום ד׳ לחדש אבריל רל״ג לפ״ק פה פלורינצה .העירה חזק ואמץ כי״ר Stornajolo ne pubblicava la seguente traduzione latina: «Ego Aharon filius B. Gabrielis scribae scripsi hunc librum pro Domino magno Comite Urbini, eique finem imposuit die IV mensis Aprilis anni [5]233 [scilicet 1473] hic Florentiae» (cf. Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1-500, p. 16). Tuttavia Cassuto ha suggerito di correggere la traduzione “filius B. Gabrielis scribae” con “filius R. Gabrielis scriba”: la “B.” al posto della “R.” è da ritenersi un errore di stampa in Stornajolo, “R<abbi>” va inteso come “messer, signor” e non come “rabbino”, mentre l’epiteto di “sopher” (“copista”) che segue il patronimico è da attribuire ad Aharon e non al padre (cf. Cassuto, Gli Ebrei a Firenze, p. 189 e n. 6). In accordo con l’opinione di Cassuto, Delio V. Proverbio, scriptor Orientalis della Biblioteca Vaticana, offre la trascrizione e ne propone la seguente traduzione: “Io Aronne lo scriba, figlio del nostro maestro il rabbino messer [mhrr] Gabriele, ho scritto questo libro per il gran principe di Urbino nostro committente - che il Signore ne abbia misericordia [yrhw]. L’ho terminato - per suo ordine [lpq] - il giorno IV del mese di aprile dell’anno [5]233 qui nella città di Firenze. Forza e coraggio! Così piaccia al Signore [kyr]”. Quanto all’epiteto “scriba”, Proverbio osserva che per il secolo XV non diventa implausibile l’interpretazione come cognome vero e proprio (cf. Rohlfs, All’origine dei cognomi, p. 63-71). Nella traduzione fornita si definisce il principe di Urbino “nostro committente”. Stornajolo e Beit-Arié (Hebrew manuscriptsin the Vatican Library, p. 638) avevano letto “il conte” [hqwnṭy]; Proverbio osserva che la scrittura è tuttavia chiara e non ambigua e sembra piuttosto supportare la lettura “hqwnnyw”, probabile errore scribale per “hqwnynw”, che vale “il nostro committente” [comunicazione orale]. Il colophon è preceduto da un distico (un acrostico: אם המלאכה היתה דים הנה גם היא נשלמה רוחי יתן אלהים בעים נא אל גבור ירבה עצמה) di cui Proverbio propone la seguente traduzione: “Se l’opera è compiuta a sufficienza, è come se fosse completa; il Signore mi ispiri con forza; che Dio Onnipotente mi fortifichi” (correggendo in עצמי ). L’acrostico si ritrova anche in un altro manoscritto, già appartenuto al Juedisch-theologisches Seminar di Breslau [Zuckermann 10, Saraval 7, Loewinger 4], oggi di proprietà della Comunità Ebraica di Wrocław e conservato presso la Biblioteca Universitaria della stessa città polacca con segnatura F 47406 (34) (digitalizzazione e descrizione in lingua ceca disponibili su http://www.manuscriptorium.com/apps/ ricercando la segnatura 34 (F 47406), data di visita 21/03/2018). Il codice è latore di un Pentateuco ebraico vergato nel 1439 da Shamʿun figlio di Azaria Ashkenazi di Regensburg, che si sottoscrive al f. 241v; il manoscritto fu completato nel 1449 con la vocalizzazione del testo biblico, il Targum e il commentario di Rashi dal copista Jehuda figlio di Salomone dei Finzi di Camerino, che si sottoscrive allo stesso foglio (cf. Freimann nrr. 266-267; Cassuto, Gli ebrei a Firenze, p. 261 nt. 1) per il committente Abramo di Abramo di Camerino. Al f. 2v si trova un documento legale (un permesso di macellazione rituale), datato 1469, sottoscritto da 4 testimoni fra cui si identifica un giovane Aronne figlio di Gabriele da Strasburgo, che alla firma accompagna il medesimo acrostico – con una minima variante testuale - presente nel manoscritto urbinate (cf. Loewinger-Weinryb, Catalogue of the hebrew manuscripts, p. 3-4, nr. 4; in Hebrew manuscripts in the Vatican Library, p. 638, Beit-Arié segnalava che chi si sottoscrive in questo codice è probabilmente lo scriba dell’Urbinate). Al f. 241v sottoscrizione e data (1619) di Camillo Jagel, censore nelle Marche anconetane tra il 1619 e il 1620 (cf. Popper, The Censorship of Hebrew Books, p. 139-140).
- History:
- Il manoscritto fu commissionato da Federico da Montefeltro, come ricorda lo scriba della versione ebraica al f. 192v, dove afferma che terminò di eseguire il lavoro di copia il 4 aprile 1473 (cf. Colophon). Lo stemma di Federico è presente ai ff. [II]v e 1r. Tale codice probabilmente è quello a cui si riferisce Vespasiano da Bisticci quando parla di «uno Salterio in tre lingue, cosa mirabile [...] libro excellentissimo» (Le vite, I, ed. critica di A. Greco, Firenze 1970, p. 397). Esso testimonia gli interessi culturali del principe di Urbino, che nella propria raccolta ospitava non soltanto opere latine e greche ma anche ebraiche, assai rare nelle collezioni principesche coeve. L’Urb. lat. 9, i cui aspetti testuali attendono ancora di essere analizzati nello specifico, non è l’unico salterio da lui posseduto; l’Urb. lat. 5 è infatti latore della traduzione dei salmi operata da Giannozzo Manetti su specifica richiesta di Niccolò V, che gli aveva affidato la revisione della traduzione geronimiana della Bibbia (cf. Manfredi, Manoscritti biblici nelle biblioteche umanistiche, pp. 486, 487, 491; Labriola, Scheda nr. 1, p. 140). Il codice è registrato nel cosiddetto “Indice vecchio”, compilato intorno al 1487 dal bibliotecario Agapito (Urb. lat. 1761, f. 1r: «Psalterium in tribus linguis Latina videlicet Graeca et hebraea. In corio viridi»; edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. LX, nr. 10). La collezione dei duchi di Urbino giunse in Vaticana nel 1657 sotto il pontificato di Alessandro VII. L’antica segnatura “11”, impressa in oro nel primo compartimento del dorso e segnata a penna al f. 1r nell’angolo superiore interno, è da riferire all’inventario vaticano di Stefano Gradi (Urb. lat. 1388, f. 8r; cf. Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1001-1779, p. I). Timbri della Biblioteca Apostolica Vaticana ai ff. [II]r, 1r, 193r.
- Bibliography:
- Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1-500, p. 16; D'Aiuto, Graeca in codici orientali, p. 253-254; Labriola, Scheda nr. 1, p. 138-142; IAM01; IAM42.4.
- Other name:
- Federico da Montefeltro, duca d'Urbino, 1422-1482 [owner]
Aharon b. Gabriel, f. 1469-1473 [scribe]
Alexander PP. VII, 1599-1667 [person]
Scutariota, Giovanni, f. 1442-1494 [scribe]
Maestro del Salterio di Federico da Montefeltro, f. 1460-1480 [artist]
Maestro del San Giovanni Crisostomo vaticano, f. 1470-1475 [artist]
Curatorial narrative
Noto come Salterio trilingue di Federico da Montefeltro, il codice tramanda il Liber Salmorum declinato in ebraico, in greco e in latino, ordinato su una mise-en-page a tre colonne; di grande formato, esso è confezionato con una pergamena di qualità e ben lavorata. Già ad apertura, il codice rende immediatamente visibile la sua appartenenza alla libraria di palazzo: come accade infatti per la grande maggioranza dei codici del fondo Urbinate, il ms. presenta il dittico figurativo costituito dall’antiporta (f. [II]v) e dalla pagina di incipit (f. 1r). In esso, a bas-de-page, un clipeo ospita l’aquila affiancata delle iniziali CF – seppure oggi visibili solo a una distanza molto ridotta – e sorreggente lo stemma federiciano comitale inquartato, anteriore al 1474 – in accordo con quanto il copista Aharon figlio di Gabriele afferma nel colophon rubricato a f. 192v, sottoscrivendo il suo lavoro al 4 aprile del 1473.
Incluso nel catalogo di Stornajolo (Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1-500, p. 16), che ne dava una sintetica descrizione, e nel repertorio di Paolo D’Ancona (D’Ancona, La miniatura fiorentina, II/2, p. 574, nr. 1134), il ms. ha goduto di una incredibilmente scarsa fortuna critica: molto citato (cfr. tra gli altri Peruzzi, Cultura potere immagine, pp. 38, 63, 68, 73), esso è stato analizzato da Ada Labriola nella scheda del catalogo Ornatissimo codice (Labriola, Scheda nr. 1, pp. 138-142); la studiosa ne assegna l’apparato decorativo a due diversi artisti che, come in numerosi altri casi della collezione federiciana, lavorarono in compresenza.
Per l’antiporta di f. [II]v, ella propone di individuare una prima personalità, che denomina Maestro del San Giovanni Crisostomo Vaticano, dal codice Urb. lat. 32 contenente appunto i Sermones del patriarca costantinopolitano (Labriola, Scheda nr. 1, p. 141), l’apparato decorativo del quale, insieme agli Urb. lat. 39, 40, 64 e 127 – tutti peraltro databili alla stagione comitale di Federico –, Annarosa Garzelli attribuiva a Bartolomeo di Domenico di Guido (Garzelli, I miniatori fiorentini di Federico, p. 125; per tale miniatore cfr. Bollati, Bartolomeo di Domenico di Guido, pp. 63-64). E tuttavia, differenze esecutive tra i mss. realizzati dal noto maestro fiorentino – come per esempio l’Urb. lat. 111 – e il f. [II]v dell’Urb. lat. 9 possono essere chiarite solo postulando un diverso artista al lavoro in quest’ultimo. Egli mostra di essere certo aggiornato sia sul linguaggio di Bartolomeo di Domenico sia sui modi di Francesco di Antonio del Chierico – e conosciuti sono gli stretti rapporti intercorsi tra le due botteghe, fondamentali per la costruzione della imagerie figurativa dei mss. umanistici di area fiorentino-toscana; ma l’artefice che esegue l’antiporta al Salterio, acquisita quella lezione, è in grado di restituirla in maniera autonoma, proponendo «idee sottili», come il camuffamento della testina di re David tra i racemi aurei del clipeo (Labriola, Scheda nr. 1, p. 141), o come l’adozione delle peculiari forme del fiordaliso, di cui ripropone anche la distintiva forma del calice, in una realizzazione che diviene quasi firma dell’artista.
La pagina di incipit (f. 1r) è invece da ricondurre a un secondo artefice, anch’egli ancora anonimo, ma a lungo indicato come Master of the Pear-Shaped Putti, secondo una definizione di Albinia de la Mare (de la Mare, Vespasiano da Bisticci as Producer, pp. 181, 198), attivo tra gli anni ’60 e ’70 del Quattrocento; anch’egli fu «a close follower» di Francesco di Antonio del Chierico, probabilmente educato nella sua bottega (Bollati, Francesco di Antonio del Chierico, pp. 228-232) e al magistero del quale rimanda il gusto del fregio brulicante di animali di diverse specie. Il catalogo del Master è stato delineato proprio da de la Mare, a partire dal ms. AC.IX.33 della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, Vita Ciceronis seu Cicero novus di Leonardo Bruni, trascritto nel 1459 da Leonardo Tolosani, copista al servizio di Vespasiano da Bisticci, e dal Vat. lat. 335, Expositio in Marcum di Girolamo, che lo stesso Vespasiano forse vendette nel 1461 a Jean Jouffroy (1461-1473; de la Mare, Vespasiano da Bisticci as Producer, p. 181 nt. 49). Ed è il rapporto con quest’ultimo che informò tutta l’attività dell’anonimo artista, al servizio del cartolaio fiorentino anche per l’impresa di allestimento dei manoscritti della Badia di Fiesole tra il 1463 e il 1464 e, sempre per il suo tramite, della libraria feltresca. Per essa, il Master potrebbe aver lavorato a un gran numero di codici, «over ninety», dapprima impiegando il «vine-scroll style» e poi il «flower style» (de la Mare, Vespasiano da Bisticci as Producer, pp. 181 nt. 49, 198), e sovente in collaborazione con altri artisti – come nel caso di Bartolomeo di Domenico di Guido per il Urb. lat. 80, o di Francesco Rosselli per l’Urb. lat. 280, o ancora del Maestro del Senofonte Hamilton per l’Urb. lat. 91 (Ead., Vespasiano da Bisticci as Producer, p. 181 nt. 49) –; ella individua inoltre la sua mano, per esempio, nell’Urb. lat. 390 e nella Bibbia urbinate, Urb. lat. 1-2, in «some of the lesser borders», evidenziandone soprattutto il profilo di decoratore.
Alla luce di nuove acquisizioni, le osservazioni di Albinia de la Mare sono state recentemente ampliate da Ada Labriola, che ha dedicato ampio spazio a tale miniatore nella scheda sopra citata, nella quale propone tra l’altro di denominarlo Maestro del Salterio di Federico da Montefeltro (definizione che si adotterà d’ora in poi; Labriola, Scheda nr. 1, pp. 138-142; cfr. anche Labriola, Un Breviario del 1476, p. 162). Un mutamento onomastico dovuto soprattutto a segnalare un aspetto, la necessità cioè di non circoscrivere l’attività dell’artista alla mera decorazione: egli mostra infatti di padroneggiare con disinvoltura l’intera architettura della pagina, utilizzando un «disegno […] sempre preciso e raffinato» e una «grande freschezza naturalistica», certo derivante ancora una volta dal magistero di del Chierico, ma che nell’esecuzione del Maestro acquista rinnovate vitalità e politezza – si notino, per esempio, le guance rigonfie del genietto che nel fregio a destra suona una zampogna o i piedi celati da piccoli nembi per i due puttini sottosopra nel bas-de-page.
All’interno della mole degli oltre 90 codici – ipotizzati da de la Mare –, Labriola propone un piccolo catalogo dell’artista, nel quale comprende anche gli Urb. lat. 5, 28, 55, 63, 68, 185, 328, e al quale si suggerisce di aggiungere gli Urb. lat. 186, 187 e forse il 451 (e in tal senso andrebbe rivista anche la paternità dell’Urb. lat. 6). Vero è che, come Labriola non manca di sottolineare, «piccole diversità di conduzione formale» nei codici appena elencati – cfr. per es., Urb. lat. 28, 68, 328, ma non solo – sono spie di una pratica comune in quegli anni, seppure non ancora abbastanza indagata, vale a dire l’abitudine alla collaborazione tra botteghe e miniatori (Labriola, Scheda nr. 1, p. 142), in una osmosi continua basata sulla diffusione dei modelli decorativi, dell’imagerie figurativa, di un certo gusto pittorico e di alcuni stilemi esornativi. Una prassi che potrebbe agevolmente spiegare sia gli scarti linguistici, ai quali si è appena accennato, sia la posizione critica di Garzelli, che racchiudeva sotto l’etichetta «Bottega e collaboratori di Francesco di Antonio del Chierico» alcuni di questi esemplari (Garzelli, I miniatori fiorentini di Federico, pp. 127-128). È tuttavia innegabile la necessità, riaffermata ancora una volta da Labriola, di assegnare al Maestro del Salterio lo status di personalità autonoma (Labriola, Scheda nr. 1, p. 142) e forse, si aggiunge, anche di capo di una bottega molto prolifica che, insieme a lui, eseguiva pagine miniate di qualità per un’alta committenza.
Nelle sue Vite, Vespasiano accenna al Salterio con un certo orgoglio – «cosa mirabile […], libro excellentissimo […]», Vespasiano da Bisticci, Le Vite, p. 397, cfr. anche Maddalo, Dalla biblioteca del principe, pp. 104, 114 –, enfatizzandone quindi l’importanza: nel colophon rubricato, che sigilla la recensione ebraica e che data il libro liturgico al 4 aprile 1473 (in accordo anche con i due stemmi presenti ai ff. [II]v e 1r, entrambi comitali, seppure di fogge diverse), si fa esplicita menzione a Federico da Montefeltro come committente dell’impresa. Per la decorazione di uno dei primi codici nella sezione dei libri sacri, che dava avvio all’intera collezione, era quindi necessario per il cartolaio fiorentino coinvolgere un artista di primo livello, in grado di eseguire un apparato decorativo all’altezza della destinazione, del destinatario, dei suoi gusti, anche estetici, e delle istanze politico-ideologiche sottese alla fondazione della raccolta libraria di palazzo.
Parts of this manuscript
1r-192v
Psalterium David secundum traductionem Septuaginta interpetrum (sic) a beato Hieronymo ex Greco in Latinum traductum, ψαλτηριον ὄργανον εἰς θ(εο)ν μέλος α̅, and ספר תהלים
- Locus:
- 1r-192v
- Title:
- Psalterium David secundum traductionem Septuaginta interpetrum (sic) a beato Hieronymo ex Greco in Latinum traductum, ψαλτηριον ὄργανον εἰς θ(εο)ν μέλος α̅, and ספר תהלים
- Supplied title:
- Liber Psalmorum
- Uniform title:
- Biblia. V.T. Psalmi. Latino, Biblia. V.T. Psalmi. Greco, and Biblia. V.T. Psalmi
- Incipit text:
- Beat(us) vir qui non abiit i(n) co(n)silio impiorum, Μακάριος ἀνήρ, ὃς οὐκ ἐπορεύθη ἐν βουλῆ ἀσεβῶν, and אַשְׁרֵי הָאִיש אֲשֶׁר לֹא הָלַךְ בַּעֲצַת
- Explicit text:
- omnis sp(iritu)s laudet d(omi)n(u)m, πᾶσα πνοὴ αἰνεσάτω τ(ὸν) κ(ύριο)ν, and כֹּל הַנְּשָׁמָה תְּהַלֵּל יָהּ הַלְלוּיָהּ
- Language:
- Latino, greco ed ebraico.
- Bibliography:
- Codices Urbinates Latini, recensuit C. Stornajolo, tomus I: Codices 1-500, Romae 1902, p. 16. P. Salmon, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque vaticane, I, Città del Vaticano, 1968, p. 44-45.
193r
Psalmus CLI
- Locus:
- 193r
- Supplied title:
- Psalmus CLI
- Uniform title:
- Apocrypha. V.T. Psalmi. 151. Latino e greco
- Incipit text:
- Pusillus era(m) i(n)t(er) fr(atre)s meos and Μικρὸς ἤμην ἐν τοῖς ἀδελφοῖς μ(ου)
- Explicit text:
- et abstuli obprobrium de filiis Isr(ahe)l and ἀπεκεφάλισα αὐτ(ὸν) καὶ ἦρα ὄνειδος ἐξ υἱῶν Ι(σρα)ηλ
- Language:
- Latino e greco.
- Bibliography:
- Codices Urbinates Latini, recensuit C. Stornajolo, tomus I: Codices 1-500, Romae 1902, p. 16. P. Salmon, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque vaticane, I, Città del Vaticano, 1968, p. 44-45.