Urb.lat.264
Manuscript information
- Resource type:
- Manuscript
- Collection:
- Urb.lat.
- Shelfmark:
- Urb.lat.264
- Library:
- Biblioteca Apostolica Vaticana
- Date:
- sec. XV ex
- Dated Mss:
- 1483
- Country:
- Italia
- Place:
- Padova
- Support:
- membr.
- Height:
- 332
- Width:
- 220
- Extent:
- II. 196. I
- Overview:
- Leon Battista Alberti, De re aedificatoria.
Description
- Collation:
- 20 fascicoli: 1-19 quinioni (ff. 1-10, 11-20, 21-30, 31-40, 41-50, 51-60, 61-70, 71-80, 81-90, 91-100, 101-110, 111-120, 121-130, 131-140, 141-150, 151-160, 161-170, 171-180, 181-190), 20 ternione (ff. 191-196). Bianchi i fogli di guardia; membranacei il primo anteriore e quello posteriore, cartaceo il secondo anteriore (numerato f. I).
- Layout:
- Testo a piena pagina; rr. 31/ll. 30, la scrittura inizia sotto la prima riga. Rigatura a secco (tipo Derolez 36). Visibile nel margine superiore la rigatura prevista per i titoli correnti, poi non realizzati. Specchio rigato (f. 18r): 332 (25+7+196+7+97) x 220 (31+7+109+7+66) mm. Foratura non visibile.
- Foliation:
- Manuale, apposta in inchiostro bruno nell’angolo superiore destro dei ff. 1-196; il foglio che segue f. 81 è erroneamente numerato 83, con recente correzione a matita in 82. Fogli di guardia membranacei non foliati.
- Writing - Note:
- Elegante umanistica corsiva di mano di «P. Ant. Sal.»; così si sottoscrive il copista nel colophon al f. 196v. Tale sigla fu sciolta in «Pietro Antonio Sallando» da James Wardrop (Wardrop, Pierantonio Sallando, p. 28), il quale vi riconobbe la firma del calligrafo di origine reggiana nato intorno al 1460, di cui il codice urbinate, realizzato a Padova nel 1483 (cf. Colophon), costituirebbe il primo esempio noto. Nel 1489 Sallando si trasferì a Bologna, dove visse fino alla morte, avvenuta nel 1540, ricoprendo tra l’altro presso lo Studio felsineo la posizione di lettore di grammatica prima e di “ars scribendi” dopo (per le sottoscrizioni a lui relative cf. Bénédictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux, V, p. 58, nrr. 15305-15309; Derolez, La codicologie des manuscrits, I, p. 155-156 nr. 340 e II, p. 132 nr. 929; si vedano anche Wardrop, The Script of Humanism, p. 8 e p. 37, tav. 40; Alexander - De la Mare, The Italian manuscripts in the library of Mayor J.R. Abbey, p. 140; B. e R. Bentivoglio Ravasio, L’Offiziolo Durazzo, p. 221-224). Questa attribuzione fu tuttavia messa in discussione da Albinia De la Mare in alcune note manoscritte rimaste inedite, oggi conservate presso il Dipartimento manoscritti della Bodleian Library di Oxford, la quale propose invece di interpretare la sigla come «presbiter Antonius de Salla», con riferimento al copista documentato a Padova tra il 1489 e il 1496 e attivo per Pietro Barozzi, vescovo della città dal 1487 (pagamenti in suo favore per la copia di codici per il Barozzi sono presenti nei registri della mensa vescovile, cf. Montobbio, Miniatori, “scriptores”, p. 131-134, 178-179; Dal Santo, Miniatori e “scriptores”, p. 583). La De la Mare divulgò tale intuizione in occasione di seminari di Paleografia tenuti presso l’Università di Pisa negli anni 1997-1998 (cf. Fiaschi, Una copia di tipografia finora sconosciuta, p. 267; Fumian, Due codici veneti poco noti, p. 29-31; Arfanotti, Scheda nr. 53, p. 373). Barozzi, figura di rilievo dell’umanesimo padovano, fu un appassionato estimatore e collezionista di opere albertiane, rispetto alle quali rappresenta un importante «momento della tradizione e della ricezione di testi albertiani in ambito veneto, e più precisamente padovano» (Arfanotti, Un cultore dell’Alberti, p. 152). L’attribuzione della de la Mare è stata ripresa da Laura Nuvoloni, che giunge a elaborare una nuova lista, rispetto a quella compilata da Wardrop, dei codici di Pierantonio Sallando distinti da quelli vergati da Antonius de Salla (Nuvoloni, Pier Antonio Sallando, p. 169-178); a quest’ultimo andrebbe ricondotta, oltre all’abbreviazione presente nell’Urb. lat. 264, la sigla «P.A.S.» presente in calce ai manoscritti Ambrosiano D 17 inf. (f. 63v) e Riccardiano 540 (f. 202v), entrambi in umanistica corsiva. La sua mano si ritroverebbe poi in oltre una quindicina di altri codici, sia in antiqua che in corsiva; è certamente presente in un manoscritto (Padova, Biblioteca Capitolare, cod. E 4) copiato per il vescovo Barozzi per il quale è noto un documento di pagamento a suo nome datato 1490 (Bernardinello, Catalogo dei codici, p. 727-729). Il codice urbinate presenta rare note coeve (ff. 55r, 56r, 83r, 87v, 191v) e una nota di mano cinquecentesca al f. 56r.
- Decoration:
- Il ms. è stato soprattutto oggetto di indagini paleografiche (cf. tra gli altri de la Mare, The Florentine Scribes of Cardinal, p. 245-293) e, in tali contesti, il suo apparato decorativo ha sempre avuto citazioni marginali (Arfanotti, Urbinate latino 264, p. 371-373). Dapprima genericamente assegnato – seppure con una corretta approssimazione – a un ambito mantegnesco da Beatrice Bentivoglio-Ravasio (Bentivoglio-Ravasio, L’Offiziolo Durazzo, p. 221), la stessa studiosa lo ha poi attribuito al Maestro del Plinio di Londra (Bentivoglio-Ravasio, Maestro del Plinio di Londra, p. 650; Ead., Marmitta Francesco, p. 734), anonimo artista attivo a Venezia e a Napoli tra il 1472 e il 1483, personalità indagata soprattutto da Lilian Armstrong (cf. Armstrong, The Master of the London Pliny, pp. 30-49; in generale, per la tradizione illustrativa di tale testo, cf. Ead., The Illustration of Pliny’s, p. 89-140; Ead., The Illustration of Pliny in Venetian Book, p. 141-155). E tuttavia, la recente proposta critica di Silvia Fumian appare quella più convincente (Fumian, Due codici veneti poco noti, p. 23-37): ella suggerisce di assegnare la paternità dell’apparato decorativo del ms. a Girolamo da Cremona (Toniolo, Girolamo da Cremona, p. 310-315; Guernelli, Perle ai margini, p. 151-171, disponibile al link https://bibliothecae.unibo.it/article/viewFile/6110/5870, data di visita 01/10/17), che pure con il Maestro del Plinio si era confrontato a lungo, in ragione della sua formazione padano-ferrarese e del suo lavoro al servizio dei Gonzaga e nei maggiori centri di produzione del libro come Padova, Ferrara, Venezia. La studiosa invita a tener conto di una serie di elementi come per esempio la presenza delle iniziali-gioiello, accostabili ad analoghe figurazioni presenti in codici realizzati proprio da Girolamo, o la particola veemenza visiva, con la quale è realizzata l’aquila a bas-de-page nell’esemplare urbinate, anch’essa ravvisabile nella produzione dell’artista.
- Decoration - Note:
- 1 pagina di incipit (f. 1r); 11 iniziali maggiori mantiniane (ff. 1r, 3v, 19v, 34v, 52v, 66v, 87v, 105r, 130r, 151r, 170r; mm 50x56, media), su campo alternativamente in rosso e in blu, con racemi a biacca o con motivi preziosi (cosiddette iniziali gioello, cf. ff. 19v, 34v, 66v, 87v, 130r). Tutti gli incipit dei libri sono disposti su più linee in capitale, alternativamente nei colori del rosso, del verde-giallo, del blu, del viola, dell'oro in foglia o a inchiostro, in sequenza variabile.
- Binding - Note:
- Coperta in pergamena tinta di verde priva di decorazione, su quadranti di cartone; in corrispondenza del dorso è stata staccata e incollata sulla controguardia anteriore. Nel primo compartimento antica segnatura “1152 / VR∙B∙” (cf. Storia) impressa in oro; nel terzo e nel quinto elementi araldici (due spade passate in croce di S. Andrea sormontate da una cometa) dello stemma del card. Bibliotecario (1681-1693) Lorenzo Brancati di Lauria; nel quarto elementi araldici (leone) dello stemma di Innocenzo XI (1676-1689). La legatura è dunque databile agli anni 1681-1689. Il dorso è attualmente rivestito in pergamena naturale, priva di decorazione e di stemmi o elementi araldici, sicché non è possibile precisare gli anni in cui questo intervento di restauro è avvenuto. Tagli dorati. L’“Indice vecchio” descrive una legatura «In Purpureo» (cf. Storia).
- Signatures:
- Assenti.
- Catchwords:
- Richiami verticali nel senso alto-basso, vergati con lo stesso inchiostro del testo nel margine inferiore del verso dell’ultimo foglio dei fascicoli, all’interno della colonnina di giustificazione.
- Heraldry:
- Araldica di Federico da Montefeltro: f. 1r, stemma ducale inquartato, nel I e nel IV d’oro all’aquila imperiale di nero coronata nel campo, nel II e nel III bandato d’azzurro e d’oro, ma privo dell’aquila di nero sulla I banda d’oro, caricato di un palo con le insegne pontificie, sormontato da corona, sorretto da un’aquila coronata.
- General note:
- Per questo ms. cf. anche E. Ponzi, Urb. lat. 264, in Catalogo dei codici miniati della Biblioteca Vaticana. II. I manoscritti Urbinati, a cura di S. Maddalo - E. Ponzi, con la collaborazione di C. Paniccia, Città del Vaticano (Studi e testi), in corso di elaborazione.
- Language:
- Latino.
- Alphabet:
- Latino.
- Colophon:
- Al f. 196v: “P. Ant. Sal. Patavii MCCCCLXXXIII” (cf. Bénédictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux, V, p. 58 n. 15306).
- History:
- Il manoscritto fu realizzato per Federico da Montefeltro, il cui stemma ducale (post 1474) è presente al f. 1r, e terminato a Padova l’anno dopo la sua morte (avvenuta il 10 settembre 1482), nel 1483, come viene precisato nel colophon (f. 196v; sull’identificazione del copista cf. Scrittura - nota). Una lettera conservata presso l’Archivio di Stato di Modena (Cancelleria ducale, Carteggio con principi esteri, Urbino, b. 1461, fasc. 1) testimonia come il duca di Urbino avesse cercato di ottenere una copia del “De re aedificatoria”, di difficile reperibilità, fin dal dicembre 1480: ritenendo che Ercole I ne avesse un esemplare, gli aveva scritto per proporgli di far copiare tale codice in loco. Il duca di Ferrara però non lo possedeva ancora (si rivolgerà in seguito a Lorenzo il Magnifico per ottenere la sua copia in prestito) e non potè accontentarlo (cf. Orlandi, Le prime fasi nella diffusione, p. 98-100). Il biografo di Federico Bernardino Baldi (1553-1617) afferma che il duca di Montefeltro intratteneva rapporti di amicizia con lo stesso Alberti e che a lui forse l’opera sarebbe stata addirittura dedicata, se Bernardo Alberti, dopo la morte del cugino Leon Battista, non avesse invece scelto di dedicare l’editio princeps stampata da Niccolò di Lorenzo a Firenze nel 1485 (ISTC ia00215000, IGI 155, BAVIC VcBA 11069589 e VcBA 10998858, URI: https://digi.vatlib.it/view/Inc.III.143) a Lorenzo il Magnifico, dietro suggerimento del Poliziano (cf. Vita e fatti di Federigo, III, p. 55-56; a riguardo si veda anche Alberti, On the Art of Building, p. 366). Un’altra ipotesi che è stata avanzata suggerisce che il codice sia stato commissionato non da Federico, ma dall’umanista padovano Ludovico Odasi, trasferitosi a Urbino nel 1482 in qualità di precettore di Guidobaldo da Montefeltro, allo scopo di donarlo al suo signore. «Si potrebbe così spiegare il motivo per cui il codice sia stato portato a termine nel 1483, dopo la morte del duca» (cf. Fumian, Due codici veneti poco noti, p. 31). Il codice è registrato nel cosiddetto “Indice vecchio”, compilato intorno al 1487 dal bibliotecario Agapito (Urb. lat. 1761, f. 43r: «Leonis Baptistae Alberti Viri Clarissimi de Architectura libri X. Codex ornatissimus in Purpureo»; edito in Stornajolo, Cod. Urb. Graeci, p. XCVIII, nr. 293). La collezione dei duchi di Urbino giunse in Vaticana nel 1657 sotto il pontificato di Alessandro VII. L’antica segnatura “1152”, impressa in oro nel primo compartimento del dorso e segnata a penna al f. 1r nell’angolo superiore interno, è da riferire all’inventario vaticano di Stefano Gradi (Urb. lat. 1388, f. 90r; cf. Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1001-1779, p. V). Timbri della Biblioteca Apostolica Vaticana ai ff. 1r, 196v.
- Bibliography:
- Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1-500, p. 247; Arfanotti, Scheda nr. 53, p. 371-373.
- Other name:
- Federico da Montefeltro, duca d'Urbino, 1422-1482 [client]
Brancati, Lorenzo, card., 1612-1693 [person]
Innocentius PP. XI, b., 1611-1689 [person]
Sallando, Pietro Antonio, c. 1460-1540 [scribe]
Antonius de Salla, m. 1505 [scribe]
Maestro del Plinio di Londra, f. 1472-1483 [person]
Girolamo da Cremona, f. 1460-1483 [artist]
Curatorial narrative
Il De re aedificatoria di Leon Battista Alberti si apre a f. 1r con la pagina di incipit, qualificata dalla prima delle 11 iniziali maggiori presenti nel codice; insieme a quelle visibili nei ff. 3v, 52v, 105r, 151r, 170r – tutte realizzate su un campo color porpora decorato da racemi a biacca –, essa è cosiddetta mantiniana, tipologia decorativa che inizia a diffondersi a partire dagli anni ’40 del Quattrocento nell’ambito della produzione manoscritta di origine padano-veneta, per poi divenire linguaggio à la page per la decorazione libraria in tutta la Penisola (per tali, amplissime tematiche, cfr. Mariani Canova, La miniatura veneta, passim; The Painted Page, passim; La miniatura a Padova, passim; Maddalo, Sanvito e Petrarca, passim; Alexander, Studies in Italian Manuscript Illumination, passim).
Incluso da Stornajolo nel suo catalogo (Stornajolo, Cod. Urb. lat. 1-500, p. 247) con una breve descrizione che definisce le iniziali «egregie pictae», il manoscritto è stato soprattutto oggetto di indagini paleografiche (cfr. tra gli altri de la Mare, The Florentine Scribes of Cardinal, pp. 245-293) e, in tali contesti, il suo apparato decorativo ha sempre avuto citazioni marginali. Nel 1995, per esempio, esso era stato genericamente assegnato – seppure con una corretta approssimazione – a un «miniatore mantegnesco» (Bentivoglio-Ravasio, L’Offiziolo Durazzo, p. 221), mentre qualche anno più tardi una breve scheda di catalogo ne avrebbe descritto i principali aspetti di confezionamento materiale (Scheda nr. 5, in Bibliotheca mundi, pp. 74-75). È la stessa Beatrice Bentivoglio-Ravasio che, in tempi relativamente più recenti, proponeva di attribuire il ms. al Maestro del Plinio di Londra (Bentivoglio-Ravasio, Maestro del Plinio di Londra, p. 650; Ead., Marmitta Francesco, p. 734), anonimo artista attivo a Venezia e a Napoli tra il 1472 e il 1483. Egli prende il nome dall’incunabolo della British Library di Londra, IC 19662, uscito dai torchi di Nicolaus Jenson a Venezia nel 1472 e che tramanda, appunto, la Naturalis Historia di Plinio (cfr. Armstrong, The Master of the London Pliny, pp. 30-49; in generale, per la tradizione illustrativa di tale testo, cfr. Ead., The Illustration of Pliny’s, pp. 89-140; Ead., The Illustration of Pliny in Venetian Book, pp. 141-155). Un primo profilo della sua personalità artistica si deve proprio a Lilian Armstrong: in occasione della sua tesi di laurea nel 1966 e quindi nella sua monografia dei primissimi anni ’80, Renaissance Miniature Painting and Classical Imagery, ancora oggi di riferimento, ella sottolineava l’ampiezza del magistero del cosiddetto Maestro dei Putti, alla scuola del quale il Maestro del Plinio di Londra doveva essersi formato (Armstrong, Renaissance Miniature Painting, passim). Questi elaborò un suo personale linguaggio, costruito sull’antitesi formale rispetto ai modi del suo mentore: laddove quest’ultimo prediligeva le corporature massicce, i tratti nervosi, l’addensarsi di figure e decorazione all’interno delle iniziali, il miniatore della Naturalis Historia propone invece un generale ammorbidimento delle forme – soprattutto nelle anatomie e in alcuni dettagli, come la capigliatura –, che tendono ad allungarsi maggiormente, mentre le fisionomie acquistano maggiore serenità; così come, nella composizione generale, egli tende ad adottare un punto di vista più ampio che gli consente di posare la sua concentrazione anche sul paesaggio (Bentivoglio-Ravasio, Maestro del Plinio di Londra, p. 644).
«[…] one of the finest Venetian Renaissance miniaturists» (Armstrong, The Agostini Plutarch, p. 216), egli diviene in tal modo non solo un protagonista di spicco del linguaggio dell’antiquaria (Ead., The Agostini Plutarch, p. 216: «This use of the antique and the mastery of illusionism derive ultimately from paintings of the 1450s by the great Paduan artist, Andrea Mantegna»), ma anche tra i più importanti illustratori di incunaboli, a partire dai primissimi anni ’70 del secolo XV quando, nella sua prima fase, predilige l’utilizzo di disegni acquerellati (Bentivoglio-Ravasio, Maestro del Plinio di Londra, p. 643). Tra il 1475 e il 1476, egli inizia a dedicarsi anche alla miniatura di pennello; l’originalità del suo lavoro, che ha «an important position in the development of Renaissance art in Venice» (Armstrong, The Agostini Plutarch, p. 216), si manifesta, oltre che nella decorazione che simula cammei antichi, soprattutto nell’invenzione della lettera-gioiello: si tratta di costruzioni dalla resa illusionistica in cui il corpo dell’iniziale è pittoricamente sostituito da cristallo di rocca o da pietra dura, arricchito da placchette in monocromo perlopiù in oro e con ricami floreali, o talvolta con immagini di ispirazione classica (cfr. Cambridge, University Library, Inc. I.B.3.2, f. 22r; Bentivoglio-Ravasio, Maestro del Plinio di Londra, p. 645).
L’osservazione di queste innovative proposte decorative (riproduzione di cammei e iniziali-gioiello), sovente associate a una diversa architettura illustrativa per le pagine di incipit, spinsero Lilian Armstrong a riflettere sulle strettissime consonanze linguistiche tra il Maestro del Plinio e Girolamo da Cremona (Armstrong, The Agostini Plutarch, p. 218; e poi Guernelli, Perle ai margini, pp. 151-171). Questi fu uno degli esponenti di spicco del rinnovamento del minio quattrocentesco, dapprima in area padano-veneta, poi con una successiva diffusione in tutta la penisola italiana e non solo. Come per il Maestro del Plinio, anche la formazione di Girolamo avvenne nell’alveo dell’imagerie mantegnesca e delle suggestioni ferraresi degli anni di Borso d’Este (il miniatore prese infatti parte alla decorazione della celebre Bibbia), egli lavorò per la corte mantovana dei Gonzaga e nei maggiori centri di produzione del libro dell’epoca, tra i quali Padova, Ferrara, Venezia (Toniolo, Girolamo da Cremona, pp. 310-315). Le consonanze linguistiche tra i due maestri scaturiscono quindi dalla condivisione del medesimo ambiente artistico ed è proprio da tale considerazione che nasce la nuova proposta attributiva, da accogliere, di Silvia Fumian, per l’Urb. lat. 264. La studiosa suggerisce infatti di assegnare la paternità dell’apparato decorativo del ms. proprio a Girolamo da Cremona, per una serie di osservazioni: le iniziali-gioiello del De architectura sono infatti accostabili a quelle visibili negli incunaboli che il miniatore decorò per Peter Ugelheimer tra il 1478 e il 1483, come per esempio un Decretum Gratiani del 1477, Gotha, Landesbibliothek, Mon. Typ. 1477, 2° 12, o un Plutarco, New York, Pierpont Morgan Library, ms. 77565, o ancora un Aristotele del 1483, anch’esso alla Morgan, ms. 21194; anche l’aquila che reca lo stemma ducale di Federico da Montefeltro a bas-de-page del f. 1r dell’Urb. lat. 264 ricorda una certa «aggressività» comune ad altre opere dell’artista, «qui rafforzata anche dallo scorcio» (Fumian, Due codici veneti poco noti, p. 30).
Tale proposta ben si accorda, inoltre, con la sottoscrizione del copista nell’Alberti urbinate, a f. 196v: «P. Ant. Sal. Patavii. MCCCCLXXXIII», colophon che confermerebbe il soggiorno padovano di Girolamo agli inizi degli anni ’80 del Quattrocento, già in passato adombrato sulla base di evidenze documentarie – nei Registri di spese del Vescovado di Padova vi è infatti traccia di un pagamento del 1481 al «magistro Jeronimo da Mantoa miniatore… per spese de casa», cfr. Fumian, Due codici veneti poco noti, p. 30 per l’intera vicenda. Così come era presente nei registri della cattedrale il nome di Antonius de Salla, «prete e calligrafo», scriptor del codice (Fumian, Due codici veneti poco noti, p. 31). Sono inoltre noti «gli stretti rapporti tra la città veneta e Urbino», soprattutto per il tramite di personalità come quella di Paolo di Middelburg, dottore in medicina e poi lettore di astronomia allo Studium padovano e quindi astrologo, matematico e fisico alla corte feltresca nel 1481; o come quella di Ludovico Odasi, umanista e precettore di Guidubaldo, figlio di Federico, che negli stessi anni da Padova giungeva in città. Ed è proprio al nome di quest’ultimo che Fumian collega la realizzazione dell’Alberti urbinate per «fare dono gradito al suo signore» (Fumian, Due codici veneti poco noti, p. 31; si potrebbe pensare anche a un coinvolgimento di Paolo di Middelburg, in ragione del suo profilo di scienziato, ma a oggi l’una e l’altra ipotesi sono prive di riscontri); il ms. fu tuttavia consegnato alla biblioteca di Urbino solo dopo la morte di Federico (10 settembre 1482), come indicato dalla data nel colophon, 1483.
Parts of this manuscript
1r-196v
De architectura
- Locus:
- 1r-196v
- Title:
- De architectura
- Uniform title:
- De re aedificatoria (Alberti, Leon Battista, 1404-1472)
- Incipit text:
- De lineamentis aedificiorum conscripturi optima (f. 3v)
- Incipit preface:
- Multas et varias artes quae ad vitam (f. 1r)
- Explicit text:
- ut digniores multoq(ue) elegantiores habeantur (f. 196v)
- Explicit preface:
- Quid conferat architectus i(n) negotio (f. 3r)
- General note:
- Il manoscritto urbinate, siglato V, è tra i codici utilizzati per l’edizione da Orlandi, che rileva come il codice presenti caratteristiche peculiari: è l'unico testimone latore del titolo "De architectura" e spesso fornisce il testo migliore. Di tale codice viene considerato rilevante il luogo di copia, in quanto a Padova vivevano alcuni esponenti della famiglia Alberti e lo stesso Leon Battista vi studiò da giovane (cf. Orlandi, Le prime fasi nella diffusione, p. 102; Alberti, L'architettura, II, p. 1005). Come nel resto della tradizione manoscritta del trattato di Alberti, nel codice urbinate ricorrono diversi spazi bianchi, destinati a ospitare “passi in cui l’autore si riservava forse di riportare citazioni precedenti” (es. ff. 111r, 121v, 138v, 173r; cf. Arfanotti, Scheda nr. 53, p. 373).
- Language:
- Latino.
- Alphabet:
- Latino.
- Bibliography:
- IAM02.